Tra il 22 e il 27 marzo 2010, una formazione di 17 elementi (messi insieme con notevoli difficoltà conseguenti ad una complessa ristrutturazione interna) prende parte ad una importantissima trasferta in Libano per la United Nation Interim Force In Lebanon, ed è proprio sotto la supervisione di questo nucleo militare interforze che ci muoviamo per l’intera trasferta. Il trasferimento da Beirut a Ma’rakah si svolge all’interno di una colonna di mezzi blindati. Il nostro riferimento è il colonnello Franco Galletti, aretino di San Giustino Valdarno, comandante in Libano del 66º reggimento di Forlì. In buona parte al suo impegno è dovuto il viaggio che ci vede coinvolti nella terra dei cedri. Contrariamente a quanto preventivato, ma in linea con l’abitudine e l’esperienza maturate in trasferte lunghe e complesse, il nostro impegno in Libano sarà particolarmente intenso. Ciò non toglie che alla dimensione istituzionale che prevede numerose esibizioni vengano ritagliati momenti ricreativi a sfondo turistico. E fin dal primo giorno siamo omaggiati da un’importante esperienza di visita al sito archeologico della città di Tiro. Nel dirigersi verso questa celebre destinazione siamo costantemente scortati da mezzi blindati militari. Il ricordo di questa esperienza è affidato al diario di bordo di Piero Pedone: “giunti a Tiro iniziamo ad incamminarci lungo l’antica strada romana, fiancheggiata a destra e a sinistra dalla necropoli: una sovrapposizione eterogenea, per stili, ceti sociali ed epoche, di tombe, sarcofagi e tumuli vari. Percorsi circa 200 metri si giunge sotto l’arco di trionfo, una splendida struttura alta circa 20 metri che coronava l’ingresso orientale della città e l’accesso all’adiacente ippodromo. Da qui si scorge ancora più distintamente ciò che resta dell’acquedotto romano, mentre, procedendo verso sinistra, si entra nell’area dell’ippodromo, il terzo per dimensioni ed uno dei meglio conservati al mondo. Ci spostiamo quindi verso l’area più estrema, il porto di Tiro, dove ritroviamo il tratto terminale della strada romana lasciata poco prima.
Qui, tra le rovine scorgiamo un gymnasion, colonnati e un’area termale completa di Calidarium, Tepidarium e Frigidarium, il tutto a 30 metri dal mare”. Quest’ultimo riferimento è la dimostrazione plastica e concreta dell’indirizzo che la civiltà romana dette, attraverso lo sviluppo dei suoi costumi sociali e ricreativi, anche alle realtà coloniali e non metropolitane. L’importanza economica della città di Tiro dal periodo romano in avanti non è solo ricordata dagli storici che illustravano i flussi commerciali mediterranei, ma dai contatti che per secoli e secoli a venire videro le popolazioni di questi luoghi legarsi alla presenza veneziana. In particolar modo ai tempi delle prime crociate, fra XII e XIII secolo, il Libano fu teatro di racconti sognanti da parte di scrittori che si recavano in Asia minore e in Palestina al seguito delle truppe crociate. Una cronaca molto importante relativa alla terza crociata ricorda persino la grandezza della civiltà libanese testimoniata dalla presenza di locali sul mare che a quell’epoca fornivano ai viandanti e ai residenti il sollievo rinfrescante di granite al gusto di cedro realizzate con le nevi prelevate dalle alture del Paese. Queste minuziose descrizioni di abitudini antiche delle popolazioni libanesi e mediorientali servivano ad alcuni intellettuali dell’epoca per denunciare la vergogna di uno scontro di civiltà che con le crociate cancellava ogni senso di umanità fra popoli diversi. I saccheggi e le distruzioni di luoghi e persone apparivano nelle cronache del tempo una necessità di fede, ma gli intellettuali cosmopoliti più sensibili agli incontri piuttosto che agli scontri, ribadivano la profonda modernità dei costumi e modi di vita di popolazioni dai molteplici credo religiosi, abituati al confronto e all’integrazione. Ovviamente la presenza degli sbandieratori in queste località mitiche di un medio oriente dalla grandezza antica, svolge un doppio ruolo testimoniale: da una parte il tentativo di fissare la presenza di un gruppo, cosmopolita per essenza, ad un luogo che dell’incontro di genti diverse ha fatto nei secoli la propria filosofia; dall’altra il trovarsi in costante collaborazione con le autorità militari contemporanee, a dimostrazione delle perenni difficoltà che nel Novecento post coloniale il Libano ha dovuto affrontare. Gli attuali scenari bellici che riguardano il Medioriente prevedono ovviamente il dispiegamento di una realtà interforze con la presenza italiana fin dalle origini. All’interno delle basi italiane e di altri contingenti svolgiamo le prove dei nostri spettacoli e le esibizioni per le truppe presenti. Non mancano ovviamente i problemi logistici e il dover concedere ad una regia esterna parte del nostro spirito e capacità organizzativa. Il gruppo si comporta con la solita professionalità ed incontra il solito stupore da parte degli spettatori. Da ricordare che all’interno di queste esibizioni compaiono tra i nostri vessilli abituali anche la bandiera delle Nazioni Unite e quelle di Italia e Libano. Il 25 è la giornata che dedichiamo alla visita della capitale Beirut. Sempre sotto scorta blindata raggiungiamo il museo nazionale della capitale, dove vedremo i pezzi più significativi provenienti dai siti di Baalbeck, Sidone e Tiro. Ancora dal diario di bordo di Piero Pedone: “lungo questo breve tragitto ci rendiamo subito conto che la città non è affatto come ci immaginavamo o meglio è vero che soprattutto nella sua periferia e in alcuni palazzi sparsi per la città, si scorgono ancora evidenti i segni della guerra civile che per 15 anni l’ha martoriata sino agli inizi degli anni 90 (e con ulteriori bombardamenti israeliani fino al 2006). Ed è pur vero che girando per la città ed osservando i negozi, la gente, le pubblicità, le automobili, si ha la sensazione di trovarsi in una città dal sapore occidentale con un notevole grado di benessere”. Questa percezione che lascia traccia nel nostro diario, corrisponde in effetti a ciò che rimane dell’iportanza di un luogo che ha tentato di mettere insieme comunità religiose, politiche ed etniche differenti attraendo investimenti internazionali e puntando sulla modernizzazione del Paese. E non possiamo dimenticare che questa è la terra Hezbollah, l’entità politico-religiosa che più di ogni altra realtà islamica ha cercato di sostanziarsi come realtà statuale. In pochi in Occidente hanno la percezione che Hezbollah rappresenta una sorta di Stato nello Stato. Anche per questo innervamento nella società libanese Hezbollah rappresenta agli occhi di Israele una delle principali minacce alla sopravvivenza dello Stato ebraico. L’esibizione del gruppo a Beirut si svolge nella Place d’Etoile. Questo luogo è la maggiore dimostrazione del progetto interculturale e interconfessionale del Libano: una chiesa romanica completamente inglobata all’interno di una moschea e la Chiesa ortodossa di San Giorgio. L’ultimo giorno della nostra presenza in Libano prevede l’esibizione all’interno della cerimonia organizzata nella base di Shama. La partecipazione del Gruppo a manifestazioni ed incontri culturali in una terra così complessa e martoriata come il Libano nello scenario mediorientale rimane non soltanto un fiore all’occhiello della nostra attività ma rappresenta, fuor di retorica, il più concreto esempio di quel ruolo di ambasciatori di pace nel mondo che portiamo caparbiamente avanti fin dalle origini.
I nostri colori sventolanti in scenari di guerra sono riusciti a dare un significato di grande dignità e maggior leggerezza ad uno scenario duro, plumbeo, all’interno del quale imperversano le armi, i blindati e i caschi blu. Sempre dal nostro diario di bordo il commento conclusivo: “ce ne torniamo a casa con alle spalle un’esperienza indimenticabile, che ci ha fatto sentire anche un po’ utili, se vogliamo, per contribuire a dare una buona immagine dell’Italia in una terra che ha sofferto le tragedie della guerra e nella quale speriamo primo poi di poter tornare in un clima di stabili pace”. Sono passati sei anni da quella esperienza e lo scenario di guerra mediorientale si è ulteriormente aggravato con la crisi siriana e la destabilizzazione dell’intera area. Le speranze di pace che hanno accompagnato i commenti degli sbandieratori che si sono recati in Libano sono state ancora una volta disattese. Forse non è più questione di speranza o di auspici, ma di una chiara e concreta presa di posizione nei confronti del disarmo generale che dovrebbe riguardare una intera area soggetta purtroppo ai numerosi e irrefrenabili appetiti internazionali. Perché un’altra caratteristica, frutto dell’esperienza che alberga nel petto degli sbandieratori, oltre agli occhi sognanti, dovrebbe essere un necessario, fermo e consapevole realismo.
da “L’Alfiere” – n. III – 2016, pagg. 6-7