In molte occasioni il Gruppo Sbandieratori ha aperto cortei e capeggiato sfilate in giro per il mondo. Particolarmente importante è stata certamente l’occasione del trimillenario della fondazione della città di Gerusalemme, grandemente celebrato dalle autorità israeliane nell’ottobre del 1995. Si trattò di un invito di particolare rilevanza perché siamo stati l’unica rappresentanza italiana su oltre cento gruppi folkloristici che hanno reso omaggio di fronte alle autorità civili di Israele ad una città unica ed “extraterritoriale”, antichissima quanto scrigno di memoria e culture diverse.
Gerusalemme non si presta a facili sintesi e rappresentazioni: chiunque la visiti resta colpito dal suo sapore unico al mondo, in parte per gli evidenti richiami religiosi, in parte per la sua complicatissima storia urbanistica. Vera e propria sintesi di storia, punto di incroci, scontri, faticosi dialoghi. Gerusalemme è un filo di speranza per le culture che non si spezza mai, pur restando sempre in bilico fra minacce di parte, aggressioni di politiche irragionevoli ed autoritarie.
Una capitale mondiale della pace in scenario di conflitto permanente e per questo sempre intoccata dal potere contemporaneo. La speranza di Gerusalemme, il suo essere speciale sta proprio nell’essere capitale di tutti e quindi di nessuno: terra palestinese e simbolo dell’Islam, terra cristiana, terra ebraica. Le sue mura la difendono dalle facili strumentalizzazioni culturali di un potere politico che ha cercato di far prevalere solo alcune di queste parti e la recente decisione del presidente americano di trasferirvi la rappresentanza diplomatica statunitense non può non apparire un vulnus a quella extraterritorialità che ogni fazione ha sempre accettato di rispettare.
Nella trasferta degli sbandieratori gli impegni in costume sono stati limitati alla grande e partecipatissima sfilata che ho menzionato e una esibizione presso l’Università. Il molto tempo libero è stato impiegato sia in gite turistiche sul Mar Morto, sia presso villaggi palestinesi. Tutti i partecipanti hanno il ricordo di essere stati costantemente sotto scorta, sia durante le esibizioni sia negli spostamenti, a dimostrazione del perenne nervosismo israeliano nei confronti della maggioranza della popolazione palestinese che si comportava con particolare apertura e simpatia verso noi italiani. Stefano Bulletti, che prese parte alla spedizione, ricorda con particolare calore la generosità palestinese, la vicinanza di chi ti invitava a condividere un thè nella Gerusalemme vecchia. Questa realtà di profonda umanità era comunque sempre complicata dalla sensazione di essere sempre sotto tutela armata: certamente la nota più spiacevole di una trasferta fra le più grandi e formative per il gruppo. Una occasione unica di sperimentare il significato della testimonianza collettiva dove il singolo trova coraggio e spirito identitario. Perché di coraggio civile si tratta quando si entra da esseri umani consapevoli e non da semplici turisti della memoria nel Museo della Shoah.
Lo Yad Vashem, Ente nazionale per la Memoria della Shoah, ha sede a Gerusalemme e ha come missione la conservazione e la promozione dello studio, della ricerca e della memoria dello sterminio dell’ebraismo europeo durante la dittatura nazionalsocialista e la seconda guerra mondiale. Se questa istituzione è soprattutto nota a studiosi ed esperti del settore, il suo risvolto immediatamente turistico è nei decenni particolarmente cresciuto, facendola diventare un punto di riferimento mondiale per la celebrazione della memoria delle vittime dello sterminio paragonabile soltanto al memoriale di Washington di più recente istituzione. La visita degli sbandieratori si è svolta in un epoca che non registrava ancora il grande impatto mediatico che la Shoah ha assunto dai primi anni duemila in conseguenza dell’istituzione del Giorno della Memoria a livello internazionale e anche nel nostro Paese. Si tratta pertanto di una esperienza particolarmente originale, che rende merito ad una organizzazione sensibile non soltanto sul fronte ebraico ma anche dal nostro lato di testimoni. Oggi è molto più immediato, se non comprendere, almeno approcciare un tema gigantesco come quello delle vittime dello sterminio e porsi interrogativi ineludibili sui molteplici perché della storia contemporanea. Alla metà degli anni Novanta si trattava ancora di una “storia di parte”, gestita e condivisa poco oltre il perimetro esperienziale degli eredi delle vittime e dei sopravvissuti. Inoltre era assai labile il legame fra l’esperienza e le responsabilità tedesche e quelle italiane. Oggi i sistemi educativi hanno spinto molto in avanti la coscienza civile anche in Italia e tornare a quel 1995 può essere utile proprio per capire quanta strada è stata percorsa sul fronte della crescita di consapevolezza collettiva del recente passato novecentesco. Se gli Sbandieratori hanno appreso qualcosa in quella occasione non è stato l’obbligo di ricordare che l’ormai ventennale istituzione del giorno della Memoria produce anche nella nostra società. Tutti coloro che resero omaggio alle vittime celebrate allo Yad Vashem lo fecero con curiosità e rispetto e sono tornati come testimoni privilegiati in un tempo di relativa ignoranza del fenomeno. Una ennesima dimostrazione di quanto la vita del Gruppo sia fonte di arricchimento e crescita personale.
Nella memoria di coloro che presero parte a questa spedizione restano ovviamente i luoghi sacri della cristianità, la visita a Betlemme e quei simboli dove trova origine la religione cristiana, in perenne mescolanza con gli altri monoteismi che a Gerusalemme trovano una casa. Difficile non immaginare il fascino di spostarsi fra moschee, simboli dell’ebraismo antico e quei luoghi punto di riferimento della cultura cristiana. La squadra che visita il Muro del Pianto e che testimonia un addensarsi di storia millenaria dove ogni impero del passato remoto ha lasciato traccia: dagli egiziani ai babilonesi; dai persiani ai romani.
Ma la trasferta ha registrato anche una divertentissima nota di colore, come la sfida calcistica vinta con grande soddisfazione contro la delegazione yugoslava: nessuno stadio ma un più modesto piazzale in prossimità del College che ci ospitava e le nostre indiscutibili capacità di talentuosi e raffinati palleggiatori!
Dei partecipanti a quella trasferta in Palestina di venticinque anni fa ancora oggi alcuni sono sbandieratori attivi, segno che si trattava di una squadra giovane. Ritrovare in quella spedizione alcuni volti ancora presenti è la dimostrazione più chiara del talento e della dedizione decennale di sbandieratori, musici ed acrobati. Il viaggio in Palestina resta, per i fortunati che vi presero parte, un ricordo particolarmente vivido di crescita culturale, impegno civile e divertimento. Le componenti che non sempre riescono a trovarsi in una trasferta ma che se si concretizzano la rendono indelebile.
da “L’Alfiere” – n. II – 2020, pagg. 8-9