Le trasferte del Gruppo Sbandieratori in Gran Bretagna non sono state numerose ma certamente significative, a partire da quelle storiche immagini in bianco e nero che ci ritraggono addirittura in presenza dei reali. Alle “antiche” spedizioni londinesi – già più volte ricordate nel nostro giornale da chi in quell’occasione trovò una moglie per la vita – sono seguite poche occasioni in luoghi diversi dalla capitale. Nel 1974 (5-14 giugno) ad Ardingly per il South of England Show e a Malvern per il Three Countries Show; nel 1979 (15-21 maggio) nel Devonshire per il Devon County Show; il 1994 (27-30 maggio) ci vide celebrare il duraturo gemellaggio della nostra città con quella di Bedford. Nel 2001 fummo in Scozia, ad Edimburgo (1-6 maggio) per i cento anni dei Magazzini Jenners, intervenendo in un contesto di promozione commerciale dei prodotti italiani. Se quest’ultima iniziativa si inserisce nella ricorrente collaborazione che gli sbandieratori hanno svolto negli anni con la Camera di Commercio per creare il colore celebrativo a corredo di iniziative più mercantili che culturali, più recentemente abbiamo avuto l’occasione di esibirci in un contesto squisitamente storico-rievocativo, più attinente con i nostri criteri ispiratori.
Nel luglio 2017 (7-11), infatti, siamo stati invitati a partecipare al Tewkesbury Medieval Fest: la rivocazione storica di uno dei principali avvenimenti bellici che caratterizzarono il trentennio della sanguinosissima Guerra delle due Rose, nella seconda metà del XV secolo. Risulterebbe certamente pedante in questa sede la contestualizzazione precisa dello scontro di Tewkesbury del 1471 che contribuì a far pendere la bilancia delle fortune delle due fazioni in lotta per il trono d’Inghilterra dalla parte dei Tudor. Ma merita senz’altro illustrare la centralità di quel conflitto per la nascita del concetto di monarchia assoluta in Inghilterra, attraverso il dissanguamento, fino alla estinzione di numerose famiglie nobiliari feudali che rappresentavano l’ingombrante quanto necessario motore di sostegno per la corona britannica. Proprio la concezione feudale del rapporto nobiltà-monarchia precedente alla fine della Guerra delle due Rose rendeva la corona del tempo dipendente dal peso di famiglie blasonate per il crisma della discendenza diretta da Guglielmo il Conquistatore. L’estinzione di alcune delle principali famiglie di questo ingombrante, instabile e rissoso blocco di potere portò la corona dei Tudor – col suo celeberrimo motto “Dieu et Mon Droit” – ad assorbire feudi e quindi recuperare quelle terre alla base della ricchezza necessaria per la costruzione della monarchia accentrata dei secoli successivi. Al di là dell’esito della Guerra delle due Rose, delle complesse alleanze fra fazioni, va forse spiegata la propensione della società britannica dell’epoca al ricorso al conflitto armato. In conseguenza della fine della Guerra dei Cent’anni non soltanto l’Inghilterra perdette – tranne l’avamposto di Calais – ogni altro possedimento continentale ma “liberò” un enorme quantitativo di soldati che, una volta rientrati dai teatri di guerra si misero letteralmente al servizio del miglior offerente. Per questo motivo le molteplici fasi della Guerra delle due Rose furono combattute da folte schiere di soldati mercenari, uomini che scontavano il comprensibile problema del reinserimento nella vita civile, dopo una esistenza pressoché completa come uomini d’armi.
L’episodio estremamente rilevante e finanche decisivo della battaglia di Tewkesbury del 4 maggio 1471 vide la completa disfatta delle truppe fedeli al casato di Lancaster e di conseguenza il trionfo di quelle del casato di York. L’erede al trono, principe di Galles venne giustiziato assieme a molti altri nobili legati alla sua fazione, segnando un epilogo particolarmente cruento successivo alla già sanguinosissima battaglia che vide contrapporsi circa diecimila effettivi.
Oggi Tewkesbury, nel Gloucestershire, alla confluenza dei fiumi Severn e Avon è una cittadina di circa diecimila abitanti dove troneggia la imponente abbazia, ex monastero benedettino consacrato nel XII secolo. La squadra che compone la spedizione raggiunge la città senza particolare cognizione della sua ubicazione e soprattutto senza sapere quanto sia stata rovinosa l’alluvione che l’ha devastata esattamente dieci anni prima, proprio in luglio. Il luogo che ci ospita è una grande tendopoli allestita in prossimità dello storico campo di battaglia dove si svolgeranno per giorni le rievocazioni dell’evento bellico che rendono il Medieval Fest il più imponente d’Europa. I partecipanti in effetti sono migliaia e la ricostruzione dei costumi e del contesto guerresco particolarmente fedele. Il grande campo di tende dove abbiamo alloggio ospita “gente strana” che si è calata perfettamente nella mentalità rude di un medioevo senza tempo. In effetti, in ogni rievocazione storica che abbiamo frequentato in giro per l’Europa, il sapore è spesso il medesimo: fuochi accesi, vesti di pelle e pelliccia, sferragliare di elmi, spade, giocolieri e qualche energumeno a torso nudo. Qui mi colpiscono uomini barbuti con la faccia truccata che si riposano sotto il sole in attesa di rivestirsi per la prossima esibizione. Il pubblico è veramente numeroso ed è accorso anche da molto lontano e noi prendiamo le misure ad un luogo che si rivelerà certamente scomodo ma anche divertente. Vivremo pressoché allo “stato brado” per alcuni giorni, col problema di come asciugare i costumi e le bandiere dall’umidità e di dover raggiungere la piscina comunale per goderci una doccia meritata.
Ci divertiamo fra gli stands allestiti per mangiare e bere e la sera accendiamo il fuoco, imitando i falò che illuminano le tante tende grandi e piccole che ci circondano. C’è una netta diversificazione fra la parte di accampamento per noi comuni mortali e quello in stile antico – attrazione turistica quanto la rievocazione della battaglia – che alloggia i personaggi che rievocano i nobili e i militari di spicco della ricostruzione dell’evento del 1471. Loro per giorni sono sempre impeccabili e calpestano un manto erboso degno appunto dei giardini all’inglese; noi progressivamente – appartenenti all’accampamento dei comuni mortali – perdiamo la distanza fra l’essere umano e la bestia e scontiamo i disagi di umidità e zanzare. Per tutta risposta i nostri fuochi serali saranno sempre più impegnativi, così da rendere l’accampamento aretino assolutamente degno di rispetto anche da parte del più rude mangiafuoco gitano.
Le nostre esibizioni quotidiane, nella assoluta vastità dell’evento ci danno la sensazione rammaricante, se non di perdersi, di non rappresentare l’evento principale. Forse spinti da questo senso di frustrazione, durante una sfilata fuori dal campo di battaglia in direzione della cittadina adiacente, abbiamo l’ardire e la sfrontatezza di inscenare un fuori programma: blocchiamo il traffico, rompiamo il protocollo e andiamo in scena senza preavviso. Risultato splendido: si fermano tutti; il paese in festa, gli ooohhh del pubblico e gli applausi ci restituiscono quel calore che cerchiamo in ogni trasferta.
Questo dettaglio, apparentemente di piccola entità, in una lunga carriera di tamburino col gruppo, mi resta particolarmente caro e rappresenta esattamente la magia e la meraviglia di girare il mondo in calzamaglia.
da “L’Alfiere” – n. II – 2021, pagg. 8-9