Questa rubrica dedicata alle trasferte memorabili ha spesso inteso celebrare l’esotismo e la lontananza dei luoghi ed in effetti obbiettivo di ogni sbandieratore è sempre stato mettere bandierine esperienziali in altri continenti. Lisbona e il Portogallo rimangono probabilmente un unicum europeo: la sua collocazione “esterna” e proiettata sull’Atlantico; una decadenza ambientale da colonia sudamericana; un passato ingombrante, imperiale, fatto di grande cultura della quale raramente l’occidente europeo ha consapevolezza.
Il Portogallo è lontano: lo si capisce dal costo dei biglietti aerei, dal senso di esotico che trasmette e dalla scarsa conoscenza che ne abbiamo. Resta infatti un paese sul quale si assommano più luoghi comuni che consapevolezze. Gli sbandieratori sono stati a Lisbona in due occasioni: nel novembre 1987 e nel giugno 1992, la prima volta nel contesto di una promozione commerciale dell’Agip, la seconda all’interno delle celebrazioni della Comunità Europea.
Questa seconda motivazione mi consente di ricordare che il Portogallo, assieme alla Spagna vennero ammesse nel gennaio 1986, e quindi diventarono parte della Comunità economica Europea alle fine delle loro esperienze di dittatura. Se in Spagna la morte di Franco avviava nel 1975 una complessa transizione verso la democrazia, il Portogallo attraverso la cosiddetta “rivoluzione dei garofani” del 1974 stabiliva la consunzione del pseudo-fascismo di Salazar ed entrambe avviavano nel 1977 la richiesta formale di ingresso in Europa. Come si comprende dalle date, ci volle circa un decennio, a dimostrazione di quanto complesse siano le procedure degli adeguamenti degli standard sociali, politici ed economici per paesi che dall’arretratezza o comunque dalla oggettiva differenza rispetto alla struttura comunitaria cercano il processo di integrazione. [Quest’ultima considerazione dovrebbe mettere in guardia il lettore ogni volta che sente notizie sulla imminente, se non istantanea, ammissione dell’Ucraina alla UE: la propaganda mediatica è una cosa… la realtà dei trattati comunitari decisamente un’altra!].
Lisbona capitale e Lisbona realtà di un altrove che come tante città antiche si è ricostruita cambiando fisionomia fra incendi, disastri e terremoti. Lisbona città atlantica ma anche città fluviale, così caratterizzata da quel corso di acqua dolce che si stenta a riconoscerne fisicamente la proiezione atlantica che è poi quella dell’Europa che si lanciò sui mari della conquista. Ma per chi vi scrive – e che non prese parte alle due spedizioni degli sbandieratori ma che ama profondamente quel luogo – Lisbona sarà sempre la città della luce. Una luce che cambia, certamente tra le ore del giorno e tra i quartieri cosi ben delimitati dalla geografia. Il punto che ho sempre trovato speciale, più che le rifrazioni nel dedalo dell’Alfama, è il tetto della cattedrale Sé vista dall’alto, con l’acqua all’orizzonte. Qui la luce sembra procedere per sottrazione e sa di rondini e silenzio, nonostante i turisti e benché ci sia un fondo di “rumore meridionale”.
Credo che parte di quella luce unica in Europa, che è determinata dalla sua occidentalità remota da fine di un continente, la abbiano percepita anche i membri del nostro gruppo in visita a Cascais, su proposta del nostro attuale presidente, all’epoca “semplice” sbandieratore. In quel ricordo di una gita al mare, proseguendo lungo la costa lisbonese si materializza la lentezza decadente di un paese che era appena entrato, con timidezza e il tradizionale riserbo lusitano, nel contesto europeo. Di quella prima trasferta lisbonese resta una fotografia particolarmente suggestiva con l’intero gruppo in posa imitando leoni rampanti: una composizione fra l’epico e l’artistico rispetto alla ben più prosaica ricerca del baccalà cucinato in ogni modo possibile ed immaginabile!
La spedizione successiva vide un ricambio quasi completo dei partecipanti (a parte la coppia di tamburini storici Ivan e il “Nonno”, Edo alla tromba e il direttore tecnico) e non mancarono episodi movimentati, a partire da un rocambolesco atterraggio praticamente su un’ala che agghiacciò tutti.
A volte gli sbandieratori sono costretti a combattere con una logistica complessa, fatta di spazi angusti all’interno dei quali organizzatori sprovveduti pretendono che si svolgano le nostre performances. Sono numerose in effetti le situazioni nelle quali abbiamo dovuto far capire l’impossibilità di determinate collocazioni, o perché le altezze dei soffitti di spazi al chiuso erano insufficienti, o per la problematicità dei lastricati, o perché determinati palchi non consentivano di far nulla, se non un singolo o una coppia. In una occasione di questo genere accadde che il nostro sventurato Alberto “Pallina” Basagni cadesse dal palco, letteralmente sparendo dalla vista del pubblico e del resto di una truppa che, lungi dallo scomporsi, destinò al post-esibizione l’immancabile sequela di prese di giro!
Comunque non c’è soltanto il Portogallo esperito e vissuto in trasferta dal gruppo, ma ne esiste uno culturale che ha messo insieme alcuni di noi in una notte folle dopo aver partecipato alla nostra consueta cena di fine anno. Accadde che chi vi scrive cominciasse a narrare l’origine dell’espressione “fare i portoghesi”: una interminabile e sfarzosa spedizione di regali dalla corte portoghese di Manuele I a Papa Leone X destò così tanta impressione che si rese necessario un atto tangibile di riconoscenza, consentendo la gratuità del soggiorno ai cittadini lusitani. Nell’occasione di quella parata di doni c’era anche l’esotismo degli animali africani ed un rinoceronte attrasse l’interesse di Albrecht Dürer, al tempo di stanza a Roma, nel 1515. La conseguenza di quella attenzione fu la realizzazione di una celeberrima incisione ritraente il profilo del rinoceronte donato dal sovrano portoghese al Papa. Dürer non si concentrò solo su una anatomia che enfatizzava l’aspetto “corazzato” dell’animale rendendolo quasi “bellico”, ma destinò il suo interesse spiccato per la dimensione emotiva concentrandosi sull’occhio del rinoceronte. Questo racconto evidentemente piacque ad un gruppetto di sbandieratori intenti a banchettare durante la cena sociale al punto tale che venne fuori l’idea del tatuaggio collettivo da realizzare seduta stante grazie al nostro trombettiere Francesco, maestro del tattoo. Con strumentazione da asporto, ci dirigemmo presso la nostra sede e passammo l’intera notte a farci tatuare l’occhio del rinoceronte di Dürer.
Il lettore perdonerà questa digressione conclusiva che mi ha portato lontano dall’oggetto dell’articolo, ma il Portogallo a questo punto qualcuno di noi se lo porta addosso come ricordo di un interscambio fra amici nella diversità accomunata dall’entusiasmo della condivisione. Di quella serata “portoghese” ricordo soprattutto il Cesco che si presentava con il kit da tatuatore e quel sorriso complice che ci accomuna tutti quando facciamo gesti ed azioni nell’atmosfera di fratellanza del Gruppo Sbandieratori.
da “L’Alfiere” – n. I – 2023, pagg. 8-9
Simone Duranti