Giorgio Dendi è un enigmista di quelli che guardano il mondo con entusiasmo e curiosità, sicuri che le sfide della vita possano essere affrontate con lo spirito che guida alla soluzione dei famosi giochi su carta. Campione Italiano e Campione Internazionale di matematica, Cavaliere della Repubblica Italiana, attore di teatro, autore per Domenica Quiz e la Settimana Enigmistica, ma anche appassionato divulgatore di scienza e di enigmistica, il Dendi ha saputo trasformare la risoluzione di un problema in un percorso piacevole, capace di divertire non solo chi risolve gli enigmi, ma anche chi li inventa. Tra cruciverba, rebus, sudoku e crittografie è per noi un onore attingere alla sua esperienza per provare ad ottenere qualche consiglio su come portare a termine i giochi dell’enigmistica. Ah, quasi dimenticavo, l’anagramma del suo nome è “GENIO DI GRIDO”.
Partiamo dal principio. Le combinazioni particolari tra lettere e numeri hanno da sempre affascinato l’uomo, penso agli oracoli greci, all’indovinello della sfinge, ai giochi di parole in latino e all’onomanzia. Qual è il profilo storico dell’enigmistica?
Hai detto bene tu: già nelle prime cose che sappiamo, tra notizie importanti, aneddoti, curiosità, ci sono tutti gli spunti per quella che poi sarebbe divenuta, dopo qualche ritocco e adattamento, l’enigmistica moderna. La frase della Sibilla era congetturata in modo che spostando una virgola, si avesse un senso completamente diverso di quello di partenza: “andrai, tornerai, non morirai in guerra” oppure “andrai, tornerai non, morirai in guerra”. Tra gli anagrammi di LICEO-GINNASIO ci sono “LÀ CI SONO I GENI” e “LÌ C’È OGNI ASINO”, due frasi dal significato completamente diverso fra di loro. Insomma, un certo legame fra le due cose io lo vedo. L’enigmista cerca queste curiosità, e magari altre che sono sotto gli occhi di tutti: stavo entrando in un negozio di vini, e ho letto l’insegna: “ENOTECA”. Ho pensato: magari se fossi arrivato dall’altro lato della strada, avrei letto a ritroso: “ACETONE”. Quanti avranno letto quell’insegna? E a quanti sarà venuto da ridere, pensando alla curiosità? Forse a nessuno… mi spiace per loro.
Quand’è, invece, che l’uomo ha iniziato a risolvere enigmi con finalità ludica?
Penso che ci sia sempre stata una finalità ludica: se voglio comporre un gioco che faccia divertire te, il primo a divertirsi devo essere io, altrimenti come posso sperare che una cosa già triste per me risulti simpatica agli altri?
Licofrone di Calcide (e siamo qualche secolo prima di Cristo). Componeva opere per il suo sovrano Tolomeo, e queste opere erano dei drammi. Altro suo incarico era di sistemare le opere dei poeti comici. Durante questo suo lavoro Licofrone ha creato gli anagrammi dei nomi del re, Tolomeo, e della regina Arsinoe, ottenendo frasi che significavano “simile al miele”, e “violetta di Giunone”. Penso sia stato un semplice gioco, magari creato con delle tavolette sulle quali c’erano le lettere dei regnanti. L’idea poi è stata quella di presentare a Tolomeo la combinazione, spostando queste lettere. Ovvio che gli onori subito l’hanno ripagato della scoperta. Quindi quello che poteva essere un gioco è diventato un lavoro. E analogamente forse è successo a tanti enigmisti della storia. Anche a me.
Invece il momento nel quale qualcuno ha pensato: “Farò una rivista con giochi enigmistici!” si può ricercare un centinaio di anni fa. Sisini, il fondatore della Settimana Enigmistica, ha concretizzato la sua idea dopo aver visto qualcosa di simile su qualche rivista estera poco tempo prima.
In epoca moderna l’enigmistica ha legato la propria storia alle riviste periodiche, trovando una grande diffusione. Ci racconta della sua esperienza la pubblicazione dei giochi?
Le riviste che troviamo in edicola purtroppo ci fanno apprezzare le parole crociate e poche altre pagine. Ma i rebus, la pagina della Sfinge e le crittografie sono più apprezzate dai cultori degli enigmi. Io ho avuto un professore al ginnasio, un sacerdote, che insegnava italiano e geografia. Capitava che i cinque minuti del cambio dell’ora lui restasse da noi per la seconda materia, e qualche volta abbiamo parlato di enigmistica. Lui si chiamava Parentin, e suo zio era un famoso enigmista che si firmava Pan (accorciando il cognome); in quei cinque minuti ho scoperto un mondo nuovo, la Pagina della Sfinge e quante parole avessero un doppio senso da usare in un gioco. Sono partito da lì: in terza superiore già qualche gioco mio appariva sulle riviste in edicola. Un grande passo l’ho fatto poi solo una decina di anni dopo, quando ho partecipato al Congresso annuale, che si teneva a Modena, organizzato da Giuseppe Panini, quello delle figurine, appassionato anche lui di enigmistica. Oramai enigmistica non era più creare uno schema di parole crociate, ma conoscere e manipolare le parole della lingua italiana e conoscere anche i bei personaggi che c’erano dietro questo mondo.
Quando lei crea un gioco pensa mai al pubblico che lo risolverà? Quali sono i trucchi per il gioco fatto bene?
Hai centrato il problema: non si crea un gioco ma lo si crea per chi lo dovrà risolvere. Io creo tutto a mano. Certo, una volta avevo dei vocabolarietti con fogli volanti contenenti parole che mi potevano servire in seguito, con le lettere straniere all’interno, mentre oggi con la tecnologia si ha tutto a portata di mano. Ma il gioco devo crearlo io, sulla mia lavagnetta, così posso dosare difficoltà e far divertire e ammattire il giusto il solutore. Anche quando componevo il mio “Alberi” per Focus (ci sono parecchi schemi sul mio sito), gli schemi erano di dimensioni diverse, così ognuno si sceglieva quello adatto a sé, ma poi ne pubblicavamo uno ogni tanto con la dicitura “impossibile”, e quello, soltanto quello, era veramente difficile, proprio per gli appassionati tosti. Se un gioco di dimensioni piccole non era agevole da risolvere, veniva cestinato. E penso sia questo il trucco che mi chiedevi.
Quali sono, invece, i trucchi per affrontare un enigma e risolverlo?
Questa è una risposta che va bene anche per i Giochi Matematici ai quali partecipo: fidarsi dell’autore, sapere che c’è una risposta (e una sola, se non diversamente specificato), e che c’è qualche modo per arrivarci. Nelle gare matematiche sembra talora necessaria qualche informazione o qualche teorema che io non ho ancora studiato a scuola; ebbene, può capitare che con i numeri presenti nel testo sia possibile trovare la combinazione andando un po’ per tentativi, ma ragionando sui pochi casi possibili. E la soluzione apparirà come per incanto.
In un certo senso le riviste fatte di enigmi complicatissimi rappresentano i compiti a casa per gli adulti. Perché ci diverte così tanto buttarci a capofitto tra lettere e numeri apparentemente irrisolvibili?
La sfida è una cosa che ci è propria: già da piccoli abbiamo fatto tantissimi giochi, sempre cercando di battere l’avversario. I nostri genitori magari qualche volta ci lasciavano vincere a carte, per darci l’emozione della vittoria, ma anche la consapevolezza della sconfitta. Il gioco ci insegna ad affrontare le sfide che poi affronteremo nella vita, ci fra scegliere una strategia, e magari ci fa cambiare la strategia scelta pochi minuti prima. Il gioco ci gratifica, ci insegna a cooperare se facciamo un gioco di squadra. Il gioco enigmistico ci può aiutare anche a scuola, insegnandoci le varie accezioni di una parola. Pensiamo alla parola PORTA. Subito ci verrà l’idea che può essere sia sostantivo che verbo: la PORTA di casa, oppure una persona che PORTA qualcosa, se intendiamo come verbo. Ma come verbo, oltre che presente indicativo del verbo portare, è participio presente del verbo PORGERE: la mano è PORTA verso di te. Ma è anche il nome di un poeta milanese, Carlo Porta, e da PORTA a POETA si passa cambiando una sola lettera. Ma poi c’è la vena PORTA, che va al fegato se non ricordo male. E “LA VENA PORTA” è una frase che si può attribuire al comico, che porta “vena”, porta brio a chi lo ascolta. E ci fermiamo qui, perché ho già capito che adesso vorrai trovare da solo qualche altra curiosità sulle parole.
…continua
da “L’Alfiere” – n. I – 2025, pagg. 14-15
Lorenzo Diozzi