Nel 1976 i cugini francesi ci chiamarono a Saumur. Come si leggeva nelle guide turistiche di un tempo: “Una ridente cittadina francese del dipartimento del Maine et Loire, bagnata dall’omonimo fiume e sovrastata dallo splendido castello di Saumur”, oggi dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. La Francia ha sempre esercitato un fascino particolare e anche se il suo pubblico non riesce a raggiungere il calore e la partecipazione di quello spagnolo, è sempre stato ben disposto ad assistere alle nostre esibizioni. Per questi motivi la nostra fu una formazione di tutto rispetto, con tutti i reparti ben assortiti e determinati a dare spettacolo. Effettivamente Saumur si rivelò un paese affascinante complici le case in pietra del centro, i giardini ben curati, il castello, che ospitava una mostra del nostro Leonardo da Vinci, deceduto nel vicino Castello di Amboise, ed il fiume. Non un fiume qualunque ma la Loira, dove si affacciano i più bei manieri di Francia. In quei giorni d’estate il caldo si rivelò anomalo, raggiungendo punte elevate con la tipica umidità delle città dove scorrono corsi d’acqua. Le interminabili sfilate, che ci portavano a spasso per tutte le vie cittadine, erano condivise con un gruppo scozzese che, nella tipica uniforme (kilt, sporran e cappellone) suonava incessantemente la cornamusa. Il suono di questo strumento, al quale non eravamo abituati, si rivelò inizialmente curiosamente interessante, poi cominciò ad essere ripetitivo ed infine, complice il caldo opprimente, insopportabile ronzio per le orecchie già provate dal sudore che scendeva copioso dalla testa. L’organizzazione prevedeva una piccola esibizione davanti ai principali esercizi commerciali che, per “sdebitarsi”, ci offrivano una bevanda fresca. Inutile dire che la birra fu la bevanda più gettonata e una sorta di gara si instaurò tra noi e gli amici scozzesi che si rivelarono un osso duro e che, sicuramente, vinsero la sfida, almeno ai punti, perché le bevute erano completamente gratuite e un “buon scozzese” non si fa sfuggire occasioni come questa. Nonostante il clima ostile abbiamo onorato tutte le numerose soste, accolti con simpatia dal pubblico, compresi coloro che ci seguirono per tutto il percorso, mai stanchi di applaudire le bandiere che si alzavano in cielo, accompagnate da squilli di chiarina e rullate di tamburo. La sera fummo liberi di girare per il paese e di assistere per la prima volta, almeno per quanto mi riguarda, allo straordinario e affascinante spettacolo di “son et lumière” tra i giardini e sulle mura del castello. Queste rappresentazioni, poi diffusesi un po’ ovunque, di cui i francesi sono cultori ed estimatori, vengono utilizzate per raccontare le storie, le gesta dei personaggi celebri o qualunque ricorrenza importante per il paese.
Senza impegnare troppo tempo nel riposo notturno, il giorno seguente eravamo di nuovo in costume a sfilare per le vie cittadine ed esibirci, la sera abbastanza tardi, sul palco al centro dei giardini affollati di gente. Gran bello spettacolo e tantissimi applausi ci accompagnarono anche dopo la fine dell’esibizione. Avremmo voluto restare ancora un po’ di tempo per goderci quel momento di celebrità ma l’organizzazione aveva previsto la cena in un locale tipico lungo la Loira e nostro malgrado, complice anche un po’ di appetito che nel frattempo cominciava a farsi sentire, abbiamo dovuto prendere l’autobus per raggiungere il ristorante. Il locale, costruito lungo l’argine del fiume, era completamente buio e solo grazie a delle tenui luci fummo accompagnati ai tavoli. La fantasia si stava scatenando facendoci ipotizzare qualche sorta di sorpresa o spettacolo che, dopo quello visto al castello, poteva essere plausibile. Le luci si accesero nel momento in cui i camerieri iniziarono a servire la cena ma apparentemente nulla stava accadendo fino a quando le pietanze furono distribuite e servito da bere: in quel preciso istante un esercito di zanzare, moscerini e altri insetti volanti si scagliarono sui piatti e dentro i bicchieri lasciandoci di sasso, impossibilitati a difenderci e a salvare le pietanze. Dopo pochi e sparuti tentativi concordammo che forse era meglio saltare la cena e tornare a sfamarci con la celebrità conquistata sulla piazza, dove ognuno si arrangiò come poté e nessuno si lamentò, segno che trovò come gestire al meglio i brontolii dello stomaco.
Il giorno successivo fu dedicato alle visite turistiche della cittadina e dei dintorni in compagnia di una guida che cercava di tenere alta l’attenzione nostra e degli scozzesi nonostante che i volti di tutti fossero segnati dalla stanchezza di un’altra notte in cui Morfeo non si era fatto vivo. La situazione cambiò immediatamente quando l’autobus si fermò davanti ad una delle famose cantine ricavate nei cunicoli delle caverne scavate per l’estrazione del tufo e successivamente utilizzate per la conservazione dei pregiati vini locali. Leggevo che nei circa 600 chilometri di gallerie presenti nella zona oggi si possono trovare, oltre alle cantine, anche ricercati, particolari e sicuramente dispendiosi hotel: che l’uomo pian piano torni ad abitare nelle caverne???? Non ricordo il nome della cantina che ci accolse per la visita e la degustazione ma verosimilmente poteva essere la Maison Luis de Grenelle che sorge nei pressi di Saumur: qui due chilometri di gallerie ospitavano un paio di milioni di bottiglie di vini con bollicine prodotti con metodo classico, ordinati su apposite rastrelliere. Prima dell’agognata degustazione la guida ci illustrò tutte le fasi della produzione e della maturazione quando, ogni giorno, un cantiniere fa ruotare manualmente le bottiglie per favorire il deposito dei residui sul tappo o quando, alla fine del primo processo, il collo della bottiglia viene congelato in un flusso di acqua gelida, tolti i tappi con i residui e quindi sigillata nuovamente, per la maturazione finale del vino. A questo punto avevamo passato diligentemente tutte le prove e meritavamo di assaggiare il prodotto, prima dell’eventuale acquisto. Con improvviso spirito fraterno e vinta ogni resistenza psicologica di indipendenza, che caratterizza quei popoli, gli scozzesi furono felici di unirsi a noi nell’assedio dei cantinieri che non si riguardavano dall’aprire bottiglie e bottiglie di fresco ed ottimo vino frizzante. La battaglia alla fine fu vinta solo quando i francesi si arresero per aver finito le munizioni; i morti (le bottiglie naturalmente) accatastati sul pavimento non si contavano. Noi italiani, anche in segno di rispetto e riconoscenza, facendo finta, qualcuno, anche di essere buon intenditore, andammo ad acquistare una serie di confezioni di prodotto da portare a casa. Qualcuno, allargandosi un po’ con i complimenti, arrivava anche ad assecondare i venditori dicendo che i vini francesi erano migliori di quelli italiani: un bluff malcelato nella speranza di uno sconto, purtroppo, mai concesso a nessuno. Gli scozzesi invece, fedeli alla loro tradizione che li vede parsimoniosi e gelosi delle loro sterline, si dileguarono rifugiandosi nell’autobus nel timore, forse, di una giustificabilissima rappresaglia dei cantinieri.
Anche questa esperienza era giunta al termine, avevamo portato a Saumur i nostri colori e la nostra allegria e ritornavamo a casa con le valige cariche della fresca effervescenza dei vini francesi.
da “L’Alfiere” – n. III – 2021, pagg. 14-15
Carlo Lobina