Negli anni ’60 e ’70, per il Gruppo, viaggiare non rappresentava un problema. Mi spiego meglio, l’importante era partire per qualsiasi destinazione, il mezzo di trasporto non era un problema o quasi. È ormai noto il fatto che in quegli anni, per gran parte di noi, non c’erano le possibilità economiche e per tutti mancavano le tecnologie che oggi ti consentono di conoscere il mondo standotene comodamente seduto al computer o alla televisione. Inoltre ai ragazzetti di quindici o sedici anni, molte volte, non veniva concessa tutta quella libertà di movimento alla quale ci siamo poi abituati. Quindi, al “pronti”, eravamo già tutti in posizione con la valigia in mano, in attesa del “via”. Per le trasferte si era creato un affiatamento speciale con Enrico Moretti che ci accompagnava personalmente con il suo autobus sia in Italia che all’estero, non disdegnando di presentare al microfono le nostre esibizioni, quando se ne presentava l’occasione. Questa collaborazione continua ancora oggi con il figlio Fabio, che ha proseguito nell’attività paterna. Qualche volta, tuttavia, ci siamo dovuti rivolgere ad altri autonoleggi e la scelta poteva ricadere anche sulla ditta Gallorini di Castiglion Fiorentino, come accadde nel 1969 per la Maremmata di Badia Tedalda. Oggi la ditta Gallorini non è più attiva e la Maremmata non viene più menzionata, probabilmente sostituita dall’Antica fiera del Ranco, mostra nazionale della razza Chianina, di Ponte Presale. Quella mattina era nuvoloso e piuttosto fresco e non era affatto piacevole attendere l’autobus che tardava ma, quando finalmente si vide arrivare, lo stupore fu generale: come poteva ancora viaggiare un simile residuato bellico? Il gruppo si sa ha nella goliardia e nell’irriverente ironia una delle sue principali caratteristiche: non c’è figura o personaggio, al suo interno, che sfugga all’inesorabile setaccio del giudizio dissacratore. Questa uguaglianza nell’ironico trattamento valutativo, secondo me, è alla base del concetto di “scuola di vita” più volte richiamata nei commenti o negli articoli che rammentano la nostra storia. Non c’è cattiveria nell’esprimere il giudizio ma solo la trasparenza che racconta il fatto che si sta manifestando, magari esagerando un po’ per rendere più esilarante il momento, suggerendo al malcapitato la giusta strada da percorrere. Tutto questo per anticipare quello che stava per succedere e quando, nell’incredulità generale, il mezzo si fermò per farci salire, avemmo la certezza che fosse venuto a prendere proprio noi. Era un autobus Fiat molto simile a quello che vediamo nella foto (non sono riuscito a trovare foto a testimonianza diretta), con guida a destra, parabrezza diviso centralmente e vetratura che si estendeva sopra i normali finestrini, per certi aspetti interessante per un autobus con pretese turistiche. Quando scese l’autista, il sig. Gallorini di Castiglion Fiorentino, il quadro era completo: un piccolo ed energico individuo munito di occhiali da sole a goccia, giubbotto di pelle e guanti da pilota, quelli traforati che lasciavano libere le punta delle dita. Facilmente intuibile, le battute e gli sfottò si moltiplicavano e si rincorrevano da un capo all’altro dell’autobus mentre l’autista faceva finta di non sentire e smanettava sulle leve del cambio che, in quel mezzo, erano due e non perfettamente sincronizzate. Il grosso volante a razze impegnava, non meno del cambio, l’autista che tuttavia padroneggiava con disinvoltura tutta la strumentazione del cruscotto compresa una leva a ghiera che non ho chiaro che scopo avesse. Ma la pazienza ha un limite per tutti e quella del Gallorini era anche inferiore alla sua statura e non si fecero attendere le sue accese risposte alle ironiche provocazioni perché, appurammo, di quel mezzo così vetusto era convintamente orgoglioso e fiero. Non posso riportare le sconvenienti parole che venivano indirizzate a chi denigrava i sedili, troppo rigidi e scomodi oppure il rumore o le scosse che le buche, presenti anche all’epoca, trasmettevano sui passeggeri. Il professor Dini e l’altro consigliere, che poteva essere il professor Magrini, cercavano invano di stemperare le battute, avvertendo la crescente irritazione dell’autista ma oramai la situazione stava degenerando e le risate e le imprecazioni per gli scossoni e i sobbalzi parevano incontrollabili. Improvvisamente una frenata e il Gallorini, in piedi nel corridoio brandendo la leva del cambio, che si poteva tranquillamente sfilare dall’alloggiamento, invitava a scendere dall’autobus chi non era soddisfatto del mezzo. L’inaspettata reazione determinò un armistizio tra le parti e la promessa di un comportamento più rispettoso nei confronti dell’eroico FIAT favorì la ripresa del viaggio tra le curve che ci avrebbero condotto a Badia Tedalda. La tregua ebbe breve durata poiché iniziò a piovere e tra lo stupore generale, l’acqua iniziò ad entrare da alcuni vetri posti in alto sopra i sedili, bagnando i malcapitati sottostanti. Si scatenò nuovamente una guerriglia verbale di battute e improperi alla quale il Gallorini controbatté con la frase: “Se piove non è colpa mia, siete venticinque i posti sono quarantacinque, mettetevi a sedere dove non piove. Se volete arrivare non fatemi perdere tempo che c’è ancora strada da fare”. Sbigottimento generale e stupore per la faccia tosta ma la necessità di giungere in orario a destinazione ci costringeva a sopportare e lo spirito di conservazione ci suggeriva di correre ai ripari, cambiando di posto o aprendo gli ombrelli, per i previdenti che ne erano muniti. Certo era uno spettacolo esilarante per chi, vedendoci passare, notava gente in autobus con l’ombrello aperto. Giunti a destinazione l’acqua continuò a scendere rovinando la festa e impedendo la nostra esibizione. Ci ritrovammo quindi tutti insieme a pranzo e intorno al tavolo le tensioni del viaggio si allentarono, complici forse alcuni bicchieri di vino che scaldarono il cuore e favorirono il nascere di un’amicizia con il Gallorini che condivise lo spirito goliardico del Gruppo e fu felice di accompagnarci anche in future trasferte. Non per questo cessarono le sue drammatiche interpretazioni con la leva del cambio brandita minacciosa in aria, ma oramai era, la sua, una sceneggiata che noi ci aspettavamo di vedere recitare per ridere e ancora oggi ricordare con simpatia e affetto.
da “L’Alfiere” – n. I – 2021, pag. 14-15