L’opera d’arte da cui prende le mosse questo racconto è situata molto vicino alla Sede dell’Associazione Sbandieratori di Arezzo, in un luogo che siamo soliti frequentare come aretini a passeggio, come curiosi alla Fiera Antiquaria o come Sbandieratori in sfilata. La statua di cui parliamo, infatti, si trova nei giardini del Praticino, lungo via dei Pileati, proprio di fronte alla biblioteca e rappresenta due figure femminili abbracciate. L’opera porta la firma di Abel Vallmitjana, pittore e scultore nato nel 1909 a Barcellona ma legato alla città di Arezzo da una storia unica che merita di essere raccontata.
L’artista, figlio del pittore e fotografo Julio Vallmitjana e Ana María Vallés, entra all’Escola d’Arts i Oficis nella sua città natale già in adolescenza per poi perfezionare gli studi a Parigi. Protagonista delle avanguardie artistiche spagnole, entra poi nell’Istituto Blanquerna di Barcellona come insegnante. Dopo aver lasciato la Spagna nel periodo franchista, Abel Vallmitjana ha viaggiato e lavorato in Europa e in Sudamerica, incontrando e sposando in quest’ultimo luogo la moglie Clarisa Silva. Successivamente, i due coniugi hanno raggiunto l’Italia, invitati da un parente della moglie e nel 1957 si sono trasferiti ad Arezzo presso la Villa Guillichini di Tregozzano, acquistata assieme a Miguel Otero Silva, scrittore e cugino di Clarisa. La Villa è una dimora storica circondata da un grande parco e da un giardino all’italiana che si trova sulla destra arrivando da Arezzo. Dalla zona in cui sorge l’elegante edificio è possibile godere di un notevole affaccio sul panorama della città e delle sue colline. I padroni di casa erano soliti invitare numerosi amici nella propria Villa e tra i personaggi più noti che hanno in questo modo visitato Arezzo e Tregozzano possiamo citare i notissimi scrittori e premi Nobel Miguel Ángel Asturias, Gabriel Garcia Marquez e Pablo Neruda. Sul soggiorno nella nostra città di quest’ultimo ospite è possibile ritrovare una testimonianza molto curiosa. Infatti, Marco Botti che in parte ha ricostruito questa storia in articoli di riviste e giornali ha scritto che il pittore Mario Caporali, scomparso nel 2017, era solito ricordare come Pablo Neruda fosse un grande amante dei fagioli con le cotiche (reputo che non si possa che essere d’accordo con il poeta su questo aspetto). Fu proprio lo stesso poeta cileno ad apprezzare una prima realizzazione in gesso della statua presente nei giardini del Praticino e ha dargli il nome di “La Hermana y la Herida”. Nel 1974 lo scultore Abel Vallmitjana morì senza vedere finita la statua che, tuttavia, fu poi realizzata seguendo i suoi modelli, grazie ad una collaborazione tra la moglie Clarisa Silva e il Circolo Artistico di Arezzo. Grazie all’appoggio delle istituzioni a questo progetto la statua venne, infine, collocata nel Praticino, sancendo così il rapporto bellissimo dello scultore con la nostra città. Merita di essere citato come luogo importante per la storia di Vallmitjiana anche il cimitero di Puglia, a poca distanza da Villa Guillichini di Tregozzano, nel quale l’artista e la moglie riposano nel luogo che hanno scelto come casa.
I padroni di casa Guillichini e i loro ospiti hanno lasciato anche un’altra impronta ad Arezzo. L’artista aretino Francesco Caporali ricorda nella breve biografia disponibile sul suo sito come nel 1958, insieme ad altri artisti come il fratello Mario Caporali, Orlando Cavallucci e Dario Tenti, decisero di aprire la galleria di arte moderna denominata L’Incontro, proprio con l’appoggio del pittore e scultore catalano Abel Valmitjana. Il luogo, onorando il proprio nome, divenne fin da subito un incontro e un ritrovo di appassionati di arte moderna, tanto da promuovere nel giro di pochi anni la costituzione della Galleria Comunale di Arte Moderna ed il concorso artistico chiamato Premio Arezzo. L’influenza culturale del progetto riverbera ancora oggi ad Arezzo perché l’esperienza della Galleria Comunale e il patrimonio artistico acquisito con il Premio Arezzo hanno portato alla creazione nel 1962 della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea che dal dicembre del 2003 si trova nella attuale sede di Piazza San Francesco ed ospita numerosissime mostre ogni anno.
Ma la magia di questo racconto non è ancora finita. Lo scrittore Gabriel Garcia Marquez, noto tra le tante opere per i romanzi Cent’anni di solitudine e L’amore ai tempi del colera, grazie agli inviti di Vallmitjana e Silva presso Villa Guillichini, ha ambientato uno dei suoi racconti proprio nella città di Arezzo.
La storia che vede la nostra città sullo sfondo è raccolta nel volume Dodici racconti raminghi e l’autore stesso nel libro spiega come questi racconti siano una raccolta di idee e appunti di storie nati durante i suoi numerosi viaggi.
Nel racconto in questione, intitolato Spaventi di agosto, Marquez racconta in prima persona un’esperienza paranormale vissuta ad Arezzo, in una delle camere della Villa nella quale era ospite. L’autore per fortuna esce illeso dal racconto di fantasmi ed inserisce nel testo alcune frasi molto generose per Arezzo e gli aretini (qui nella traduzione di Angelo Morino per Mondadori): “Era una domenica all’inizio di agosto, ardente e chiassosa, e non era facile trovare una persona che sapesse qualcosa nelle vie accalcate di turisti” e anche “Siccome eravamo in ritardo non si ebbe il tempo di conoscere l’interno del castello prima di sederci a tavola, ma il suo aspetto da fuori non aveva nulla di spaventoso, e qualsiasi inquietudine svaniva davanti al panorama della città dalla terrazza fiorita in cui stavamo pranzando. Era difficile credere che in quella collina di case aggrappolate, dove c’era posto appena per novantamila persone fossero nati tanti uomini di genio duraturo” e ancora “Le giornate dell’estate sono lunghe e parsimoniose in Toscana, e l’orizzonte rimane immobile fino alle nove di sera. Quando si ebbe finito di visitare il castello erano passate le cinque, ma Miguel insistette per portarci a vedere gli affreschi di Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco, poi prendemmo un caffè chiacchierando sotto i pergolati della piazza“. La scelta della prima persona rende il racconto un vero e proprio diario di viaggio nella città, riuscendo proprio a far immaginare lo scrittore perso tra le strade del centro e affascinato dall’arte e dalle architetture di Arezzo. Tra l’altro, Marquez racconta di un caffè preso nella Piazza della Chiesa di San Francesco, luogo molto caro agli aretini ma anche sede della già citata Galleria Comunale d’Arte Contemporanea. Come spesso accade nel Belpaese, sono spesso incredibili le storie e gli aneddoti legati anche solo ad un angolo delle città.
da “L’Alfiere” – n. I – 2023, pagg. 6-7
Lorenzo Diozzi