Nel primo numero del 2021 esordiva per la Rivista L’Alfiere la rubrica “Uno sbandieratore a…” per raccontare i musei e le mostre della città. In quella occasione io e Sirus eravamo stati al Museo del Saracino “I colori della Giostra”, allestito all’interno del Palazzo Comunale di Arezzo.
Questa volta con L’Alfiere siamo stati a visitare il “Museo Orodautore” di Arezzo. Prima ancora di parlare del museo, merita un commento il luogo nel quale si trova. Infatti, se ci si posiziona nell’incrocio di strade tra Via degli Albergotti, Via dei Pileati e Via Giorgio Vasari è possibile godere di uno spaccato unico della città. Da una parte di aprono le monumentali Logge Vasari, con la statua dell’artista che ci invita a percorrerle. Salendo con gli occhi per Via dei Pileati si scorge il verde del Prato e il verde del Praticino. In questo spicchio di città possiamo trovare l’opera d’arte “Il Coro” dell’artista Karen Wilberding Diefenbach (per intendersi, sono le statue delle pecore), la statua di Abel Vallmitjana (della quale abbiamo parlato nel n. 1 del 2023 di questa rivista) e possiamo trovare anche la sede della nostra Associazione. Da questo luogo, inoltre, è possibile godere delle note che il Liceo Classico Musicale lascia sfuggire dalle finestre delle proprie classi, poste proprio sopra le Logge. Sempre nella stessa Via dei Pileati c’è un angolo letterario della città, nel quale troviamo la Biblioteca di Arezzo, all’interno di Palazzo Pretorio, la Casa del Petrarca e, poco oltre, il pozzo di Tofano di una delle novelle del Boccaccio. Voltandosi invece, l’osservatore può godere della vista del palazzo dell’Archivio di Stato di Arezzo e, poco sotto, della Casa museo Ivan Bruschi, un angolo della città fortemente legato alla Fiera e alla tradizione dell’antiquariato. Dall’altro lato della strada spicca, invece, per altezza e bellezza la Chiesa di Santa Maria della Pieve con tutte le proprie colonne e con il proprio campanile. Infine, dal medesimo incrocio di strade, lo sguardo termina sul Palazzo della Fraternita dei Laici. Tale costruzione sul lato che osserva le Logge Vasari, custodisce al piano primo la CaMu, Casa della Musica di Arezzo, la cui essenza è legata storia della città e di Guido d’Arezzo, mentre al piano inferiore c’è l’ingresso per il museo che siamo andati a visitare.
Un filmato introduttivo accoglie il visitatore con una panoramica sulla tradizione dell’oro ad Arezzo, dagli Etruschi alla storia contemporanea. In questo racconto iniziale viene raccontato come l’inizio del ‘900 abbia trovato una città di Arezzo già capace di ospitare delle grandi industrie, seppure con una economia ancora molto legata al mondo contadino. In questa realtà trovano vita nel 1926 i primi laboratori della “Ditta Leopoldo Gori e Carlo Zucchi” in via di Seteria e in corso Vittorio Emanuele (attuale Corso Italia), divenuta poi, ai sensi di legge, di punzonatura, ma anche di notorietà la “1 AR”. Nonostante una frenata industriale rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale, l’azienda non abbandona il proprio ruolo in città, alimentando l’economia aretina, tra la diversificazione di metalli e l’invenzione di strumenti e procedimenti orafi. Il polo orafo cittadino arriva nel 1960 a contare il numero di 100 fabbriche orafe, alcune aperte proprio da persone arricchite dall’esperienza Gori e Zucchi. La città di Arezzo riuscirà nei decenni a superare i 1000 marchi orafi e ad imporsi nel panorama italiano ed europeo con la Fiera Oro Arezzo e Gold Italy al Centro Affari e Convegni. Il video termina ripensando a tutta la storia orafa per giungere alla conclusione che nel tempo “il fatto ad arte” si è unito alla innovazione tecnologica, in una sintesi unica che si è realizzata proprio ad Arezzo.
Il “Museo Orodautore” di Arezzo nasce proprio da tale tradizione orafa cittadina e si è concretizzato per la prima volta nel 1987 come mostra collaterale realizzata in occasione della fiera del Centro Affari. Questa veste artistica del gioiello ha avuto nel tempo tante altre edizioni, vantando importanti curatori, patrocini e sedi anche internazionali. Alla mostra va poi aggiunta anche l’esperienza della collezione del “Museo Gori&Zucchi” che trova nel “Museo Orodautore” di Arezzo uno spazio nel quale mostrare alcuni esempi e strumenti del lavoro di orafo. Tali esperienze, uniti alla volontà di creare nel centro di Arezzo uno spazio per raccontare una delle anime della città hanno permesso la creazione dell’attuale museo.
Consapevole di queste componenti del museo, la prima stanza nella quale ho sentito di spingermi era un angolo dedicato agli strumenti dell’orafo, con tavoli da lavoro, strumenti del mestiere e piccole raccolte di materiali preziosi. Forse suonerà inatteso al lettore, ma tra quei banchi di lavoro mi sono sentito molto a casa. Il lato materno della mia famiglia, infatti, ha fatto e fa tutt’ora parte del polo aretino del gioiello e mio nonno Ivo Tanganelli ha fatto parte della famiglia Gori e Zucchi, prima di intraprendere una lunga carriera autonoma e di insegnare il mestiere alla mia mamma e ad una delle sue sorelle. Gli strumenti, le consistenze dei metalli, l’odore della fusione e della chimica utile all’oreficeria fanno parte di una parte indelebile della mia vita.
Altre stanze del museo, divise per decenni del ‘900, presentano vere e proprie opere di design del gioiello che artisti di tutto il mondo hanno pensato, disegnato e realizzato affidandosi alle mani degli orafi aretini. I gioielli e le piccole sculture presenti sono realizzati prevalentemente in oro ma non mancano tanti altri materiali, tante pietre preziose e tanti effetti tattili e di colorazione ottenute attraverso diverse tecniche di lavorazione. Alcune di queste opere d’arte hanno forme e colori divenute un classico, altre invece sembrano provenire da altre epoche o da lontanissime civiltà, altre ancora, infine, sembrano invece essere il frutto di un sogno e provenire da luoghi irreali. Tra tali opere troviamo delle forme minimali, dei naturalia che richiamano flora o fauna di mare e di terra e anche delle forme divertenti come nuvole composte da materiale prezioso, griglie ideali per il barbecue, chiavi, lucchetti ed eleganti ballerine. La sala più grande del museo è composta da una lunga bacheca che raccoglie alcune riproduzioni di gioielli ed oggetti preziosi presenti nelle opere di Piero della Francesca, creati dalle aziende di Arezzo su disegno di artisti famosi.
Uscito dal museo ho disceso il Corso Italia per tornare nella parte bassa di Arezzo. Nel percorso ho incrociato, come incrocio sempre, le vetrine di numerosi negozi di gioielli, ma questa volta ho avuto una sensazione diversa nell’ammirare gli oggetti esposti. Infatti, mi è sembrato che ogni forma e ogni moda di oggi fosse in qualche modo collegata ai modelli passati presenti nelle teche del museo, con un filo che lega la storia più antica, alle idee e alle industrie del ‘900, ai gioielli contemporanei.
da “L’Alfiere” – n. II – 2024, pagg. 10-11
Lorenzo Diozzi