Tra le colonne di questa rivista, in un numero precedente, erano stati approfonditi i vari collegamenti che uniscono la città di Arezzo con la Divina Commedia. Continuando su questo genere di trattazione ci occupiamo questa volta del Decameron di Giovanni Boccaccio e delle novelle che si svolgono nel territorio aretino. Questa opera è stata scritta durante la metà del XIV secolo e rappresenta uno dei massimi capolavori della letteratura del “trecento” tanto per lo stile linguistico di prosa in volgare italiano, quanto per i contenuti squisitamente rinascimentali. Infatti le novelle che compongono l’opera sono caratterizzate da situazioni e personaggi ricchi di umorismo che celebrano quel sereno vivere che Lorenzo de’ Medici, tempo dopo, sintetizzerà con il celebre “Chi vuol esser lieto, sia: / di doman non c’è certezza”. In generale la trama che fa da cornice alle novelle parla di un gruppo di giovani ragazzi e ragazze che si rifugiano per dieci giorni lontano da Firenze per sfuggire alla peste nera che colpiva la città. In queste giornate, scegliendo un tema comune, ognuno dei giovani racconta una novella per trascorrere il tempo.
La novella di cui ci occupiamo è quella che viene narrata come quarta novella del settimo giorno e che comunemente viene chiamata la storia del pozzo di Tofano. Ogni aretino passeggiando per la città si è imbattuto in questo pozzo che si trova in Vicolo dell’Orto e che una targa in marmo, apposta dalla Brigata Aretina Amici dei Monumenti, celebra appunto come il pozzo presente nel Decameron.
Il pozzo ha una struttura di pietra arenaria tipica delle costruzioni del centro di Arezzo che è stata restaurata nel 2005. Anche ai tempi di Boccaccio questa strada si chiamava con questo nome e su di essa si trovava lo stesso pozzo. Questa parte della città nel XIV secolo era una zona centrale della allora città di Arezzo e ciò viene anche testimoniato dai numerosi edifici storicamente importanti che qui sorgono, tra i quali, rimanendo in ambito letterario, la casa del Petrarca. Giovanni Boccaccio si dimostra quindi non solo un buon conoscitore di Arezzo ma anche dell’animo degli aretini poiché la storia che qui viene ambientata è in grado di farci divertire oggi come allora. Tofano era un uomo ricco che aveva sposato una bellissima donna chiamata Ghita e con lei abitava nella propria casa che si trova di fronte al noto pozzo. L’uomo senza averne nessun motivo era molto geloso della sua bella moglie ma questo comportamento e questa mancanza di fiducia non erano ben accettate dalla donna. Ghita infatti punì il marito rendendo fondata questa sua gelosia e, ci dice Boccaccio, “s’incominciò ad intendere” con un bel giovane frequentandolo di giorno e di notte. Ogni sera la donna faceva bere lo sventurato Tofano per poi uscire lasciandolo addormentato e ubriaco. Una notte tuttavia il marito geloso fece solo finta di dormire e chiuse a chiave la porta di casa così da lasciare fuori la donna. Era intenzionato a punire la moglie facendo vedere a tutti i vicini, tra cui anche i parenti della donna, le scostumate abitudini di Ghita. Una volta tornata a casa la donna inizialmente provò a pregare il marito di aprirle la porta e dopo aver ricevuto un rifiuto escogitò un inganno ai danni di Tofano. Disse infatti che si sarebbe buttata nel pozzo e che avrebbe fatto ricadere le colpe sul marito ubriaco e violento. Tuttavia nel pozzo non si buttò veramente ma ci lanciò soltanto una pietra per riprodurre il suono. Tofano scese di corsa in strada e la moglie rapidamente entrò in casa chiudendo fuori questa volta il marito e a gran voce chiamò vicini e parenti per punire quell’uomo che, lei raccontava, di notte rincasava ubriaco dopo aver trascorso fuori la serata. Tofano quindi caduto nell’inganno di Ghita quella notte non solo venne tradito ma venne anche picchiato. La novella si conclude poi con un lieto fine nel quale ogni personaggio ammette le proprie colpe e perdona l’altro ricreando il rapporto d’amore.
Con il Decameron Boccaccio mostra come i giovani scappati dalla peste di Firenze passino il tempo raccontandosi storie umoristiche ma anche ricche di significato e morale, in questo caso, di perdono e comprensione. Le storie raccontate per bocca dei giovani sono un invito dello scrittore a superare la peste non solo in modo fisico ma anche in modo morale ricostruendo sulle basi del pensiero rinascimentale i costumi dell’epoca.
da “L’Alfiere” – n. I – 2018, pagg. 2-3