Probabilmente è stato il figurante più fotografato e immortalato nella storia della Giostra del Saracino, perché dopo 43 anni di onorato servizio e 78 presenze, Renato Brunetti rappresenta senz’altro un emblema della manifestazione. Aretino doc, dalle parti del centro storico, Quartiere Porta Crucifera nel cuore, Renato non ha mai però tradito il suo ruolo imparziale e super partes cui la posizione lo delegava. Lo incontriamo, non a caso, presso la nostra sede, uno sguardo giù verso p.za Grande che da sempre ti ammalia e che per due volte l’anno si riempie di colore, suoni, passione e tradizione e che lo ha visto tante volte protagonista.
Allora Renato, ci vuoi raccontare la tua storia, come è che hai indossato quel costume per così tanti anni tanto da diventare un simbolo stesso della Giostra del Saracino?
Si, con piacere. Direi che la mia è una tradizione di famiglia, nel senso che hanno indossato questi costumi, mio padre prima di me, i miei fratelli Aldo e Pino, due nipoti e anche mio figlio. Occorre ricordare che i Valletti del Comune sono una compagine, chiamiamola così, che esiste da quasi cento anni. Essi hanno fatto – e fanno parte tutt’ora – del cerimoniale del Comune, nello specifico nello staff del Sindaco. Sono presenti infatti a tutte le cerimonie pubbliche ufficiali, istituzionali, religiose accompagnando il gonfalone del Comune, con un organico inziale che era di 7 persone, due trombe e 4 mazzieri e appunto il gonfalone. Dicevo prima di mio padre che iniziò a farne parte a fine anni 1929/30 e quando nel 1931 si disputò la prima Giostra del Saracino dell’era moderna, un componente del gruppo iniziò a portare la Lancia d’Oro. E fu deciso il coinvolgimento dei Valletti per il fatto che la Lancia d’Oro è il premio che il Sindaco consegna a fine manifestazione al quartiere vincitore e fino ad allora ne è il custode e il depositario.
Eri un predestinato quindi? Quando hai iniziato?
La mia prima presenza fu nella Giostra del 1969 ed ho portato la lancia fino al 2012. Ricordo l’esordio, appunto del 1969 che fu burrascoso e un vero e proprio battesimo del fuoco. Gli amanti della manifestazione ricorderanno infatti che fu l’anno dei gravi tafferugli in piazza con la vittoria contestata di Porta S. Spirito e la conseguente rottura proprio del trofeo in due pezzi con il quartiere vincente che uscì da Piazza Grande con i due monconi ostentati come trofei. Un esordio da brividi, davvero!
In tanti anni hai visto lance modellate e dedicate a seconda dell’occasione, ad eventi o personaggi storici o importanti per la Città. Ne ricordi qualcuna in particolare o alla quale, come dire, sei un po’ più affezionato?
Al di là della bellezza o della foggia che ognuna di essa aveva, certamente alcune le ricordo con più piacere, come quella che consegnai nelle mani del Presidente Sandro Pertini o quelle dedicata alla Madonna del Conforto o ai Grandi Aretini, con una elsa che raffigurava appunto grandi personaggi nostri concittadini, in una sorta di spirale dal basso verso l’alto. Però permettimi questa considerazione, al di là delle Lance, ad ognuna delle quali sono legato con la memoria, voglio sottolineare l’emozione e la sensazione che ogni volta, per 78 volte, mi prendevano e mi coinvolgevano in Borgunto, non appena si apriva il portone e l’Araldo annunciava il mio ingresso in piazza, le stesse dal 1969 fino alla mia ultima apparizione. Così come i brividi lungo tutta lizza ascoltando le note dell’Inno del Saracino che per me è stato sempre l’Inno del Monci.
Episodi simpatici o aneddoti, ce ne sono Renato?
Indubbiamente tanti, simpatici o curiosi. Il migliore credo – e non dico il quartiere né l’anno – ma una volta, ricordo, che per proteggere la base della lancia quando potevo appoggiarla a terra, chiesi qualche rimedio e mi passarono alcune puntine con la tesa colorata. Quando il Rettore del quartiere vincente alzò al cielo il trofeo, davanti ai suoi quartieristi festanti, apparvero platealmente le puntine colorate, con i colori di un altro quartiere!! Ed anche proprio quando ho esordito, come detto sopra, nel 1969: era la mia prima volta, quindi inesperto e giovanissimo, mi ritrovai in mezzo ad una rissa furiosa e ricordo che comunque menai mazzate a destra e a manca pur di proteggere il trofeo, riuscendo parzialmente a difenderlo. Tant’è che ne risultarono due!!
È cambiato qualcosa nel tempo il modo di portare la Lancia d’Oro, nella sfilata o in Piazza Grande?
Si, qualcosa è cambiato anche per suggerimenti o proposte che io stesso ho avanzato al Regista o alla Magistratura e che spesso sono stati accolti. Per esempio il posizionamento appunto in piazza: mentre prima i Valletti ed io ci portavamo alla Colonna Infame, sotto la tribuna B, un po’ perché davamo fastidio agli spettatori delle prime file, un po’ per ragioni di sicurezza ci hanno spostato al di sotto della lizza, proprio all’altezza della tribuna autorità. Ed ancora il modo di portare la Lancia: prima la portavamo appoggiata sulla spalla e la cosa non mi appariva molto elegante e proposi e l’idea fu accolta, di tenerla sulle mani a braccia ed alzarla come ora in avanti al momento dell’ingresso o davanti ad autorità
Per concludere, Renato: è stato doloroso o c’è qualche rammarico per aver concluso questa tua carriera di figurante ”Uomo della Lancia d’Oro”’
Non particolare e nessuna polemica o rammarico. Avrei solo voluto arrivare a 80 presenze, mi sono fermato a 78: un bel traguardo comunque e sono ben felice di questo. La mia passione per la Giostra e il mio amore per Arezzo ho potuto soddisfarli per così tanto tempo, quindi va bene così.
da “L’Alfiere” – n. II – 2019, pagg. 6-7