Durante una riunione di Redazione abbiamo deciso di dedicare uno spazio doveroso ad una figura che più di ogni altra incarna la storia, la filosofia e il sapore della Giostra del Saracino: l’araldo che per circa quarant’anni ha scandito con la propria voce lo svolgersi della tenzone guerresca in Piazza Grande, Gianfrancesco Chiericoni.
Per noi Sbandieratori quella voce è da sempre simbolo di fierezza e adrenalina, quando pronti al pozzo, sulla lizza, attendiamo quell’enfatico e generoso “Entrano gli sbandieratori della Giostra!” C’è inoltre una ragione precisa (che emergerà – crediamo – dall’intervista stessa) che accomuna lo spirito dell’Araldo a quella degli Sbandieratori: l’imparzialità formale di chi, nonostante la fisiologica appartenenza ad un quartiere, conscio del ruolo che riveste, non può permettersi alcuna manifestazione di gioia e disappunto durante lo svolgersi in piazza della Giostra. Questa intervista vuole rendere onore e celebrare un uomo e una figura alla quale siamo particolarmente legati per stima e affetto.
Come è cominciato tutto: il tuo rapporto con la giostra e come sei diventato l’Araldo
Sono nato e vissuto a San Domenico, quindi ho una origine all’interno del quartiere di Porta del Foro, anche se non ho fatto strettamente vita di quartiere. Nonostante amassi la Giostra non vivevo il quartiere durante l’anno. Ricordo che ad esempio nel 1957 quando dopo molto tempo Sant’Andrea vinse la giostra io gioii con loro…sono sempre stato “ecumenico” quanto ai sentimenti legati alla Giostra, parteggiando per il quartiere che in determinati momenti “aveva bisogno”. Quando Santo Spirito nel 1996 vinse dopo 12 anni, ne detti l’annuncio con un urlo particolarmente veemente, piegandomi addirittura per dare più forza alla mia voce. Nei giorni successivi questo comportamento mi venne fatto notare e fui anche criticato. La polemica era stata sollevata da Porta Crucifera e io risposi che non mi sembrava di meritare tale critica perché, anzi, avevo sempre annunciato con enfasi i colori rosso-verde. Negli anni Porta Crucifera è sempre stato il quartiere che ha risposto di più alle mie sollecitazioni quando lo “chiamavo”. C’è un altro motivo, oltre al calore dei quartieristi rosso-verdi: mi riferisco alla pronuncia dal momento che si tratta dell’unico quartiere con un nome composto da due parole, non c’è rottura ritmica e ci sono molte “erre”.
Quindi c’è uno studio preciso e dettagliato dietro alla tua interpretazione…
No, non è uno studio preciso, a me viene naturale così. Ma c’è differenza fra annunciare ad esempio l’ingresso del quartiere di Porta Santo Spirito. In questo senso il più penalizzato rimane Porta del Foro, semplicemente perché è un nome corto e quindi la pronuncia ne viene in qualche forma penalizzata in enfasi. È il più difficile di tutti da sottolineare con enfasi, perché la pronuncia quasi “muore”. Ci tengo a sottolineare che tutto questo non riguarda appartenenze o significati di affetto per un quartiere piuttosto che un altro, ma semplicemente il ricercare quello per il quale sono sempre stato al servizio: lo spettacolo. È come quando ho inventato il “due” (sorridiamo… NDR).
Questi sono aspetti importanti, raccontaci
La prima volta che lo pronunciai fu per Santo Spirito e ricordo bene che il compianto Edo Gori mi disse sconsolato di non rifarlo più! Io gli risposi di non prenderla come una offesa, piuttosto di pensare che lo stavo dicendo sottolineando il dispiacere. Mentre è normale dare enfasi ad un quattro o un cinque, mi pareva che fare altrettanto per un basso punteggio fosse semmai una mancanza di rispetto. In effetti ho sempre privilegiato l’aspetto dello spettacolo all’interno della giostra, e alcune delle innovazioni che ho portato e introdotto non volevano soltanto allungare un copione piuttosto scarno, ma anche introdurre degli elementi di pathos. Dobbiamo ricordare che ogni modifica è stata concordata con il maestro di campo, Fosco Balestri, che è stato il mio pigmalione, colui che mi ha lasciato il suo posto. Altre cose le ho concordate con lo storico della giostra Luca Berti. Ma torniamo a come è cominciato tutto quanto. Nel 1975, conoscendo Fosco Balestri, gli chiesi se mi poteva far entrare nel mondo della giostra. Mi chiese se volevo prendere il suo posto dal momento che era l’ultimo anno che faceva l’araldo e che sarebbe diventato maestro di campo. A quel tempo era l’Enal (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori) a gestire e sovrintendere la giostra e Balestri era uno dei personaggi centrali. Un vero e proprio tutto fare all’interno della giostra: è stato araldo, maestro di campo e anche regista. Mi venne a prendere il giorno dopo e mi portò in mezzo a un campo a Tregozzano. Non ricordo se mi dette da leggere la disfida o il bando. Io lo lessi ad alta voce come da lui richiestomi e alla fine mi disse: “sarai il mio successore”. Contemporaneamente il vice maestro di campo, Luciano Centini (che poi diventerà il più celebre maestro di campo della giostra), presentava un suo candidato ma Balestri insistette e venni incaricato io. Quindi nella giostra del 1975 io lo seguii nel corteggio così da imparare il più possibile. Riguardo al mio esordio, l’anno successivo, ho anche rivisto un filmato e devo dire sorridendo che facevo proprio schifo! Ho visto questo filmato recentemente e ho notato quasi con imbarazzo tanta ingenuità, a partire da quel modo enfatico e inadatto – che vi dicevo prima – sulla pronuncia dei punteggi bassi. Una digressione affettuosa: visionando quel filmato della mia prima giostra ero con la mia famiglia e mia moglie ha scambiato la mia voce di allora per quella di mio figlio, che era in effetti davvero simile. Dunque, la prima volta che feci la giostra, ricordo che era la prima edizione in notturna del dopoguerra. Era in concomitanza con il concorso Polifonico. Fu deciso pertanto di interpretare il Bando al contrario, da porta San Francesco alla Pieve. Montai a cavallo e scesi per via Cisalpino. Alla facciata della chiesa di San Francesco c’era una sorta di balaustra ed io aspettavo l’inizio della manifestazione. Con tutta quella gente davanti ricordo bene che cominciò a tremarmi una gamba. L’emozione era così forte che non sapevo se continuare o smettere. Mi feci forza e cominciai così che, bene o male, riuscii a rompere il ghiaccio. Avevo sempre accanto il Balestri che mi incoraggiava e anche giustamente mi criticava negli sbagli. Nei confronti di Balestri io ho sempre avuto una grandissima riconoscenza perché mi ha fatto uno dei regali più importanti della mia vita e la mia carriera. Il ruolo di Araldo, nel tempo, mi ha fatto essere benvoluto in città.
Dopo quanto tempo ti sei reso conto di essere il personaggio che incarnava la giostra e quindi essere un simbolo punto di riferimento?
In realtà non mi sono mai sentito un personaggio perché io sono un uomo pragmatico, ho un carattere piuttosto umile. Forse anche per questo ho sempre ricevuto l’affetto delle persone, della città. E anche l’aver lasciato questo ruolo non l’ho vissuto come un dramma personale ma come una cosa fisiologica e normale. Quindi non mi sono mai sentito un personaggio ma quello che indubbiamente mi fa piacere è che la città mi ha voluto bene. L’acme di tutto questo è stato l’anno scorso quando l’istituzione ha voluto che io facessi la giostra straordinaria dandomi il tributo dei quarant’anni. Il riconoscimento che ho ricevuto dalla gente durante la sfilata e poi in piazza davvero mi ha dato una gioia immensa. Questa è la stessa benevolenza con la quale vengo fermato e salutato dagli sconosciuti per strada normalmente.
Torniamo alle modifiche da te introdotte…
Nel Bando non ho modificato molto, se non per l’edizione notturna: io inventai l’espressione “due tocchi dopo l’ora ventunesima”. Non si poteva dire le 21:30 e quindi pensai a quegli orologi che battono i quarti d’ora e quindi utilizzai l’espressione del “tocco” anche per essere coerenti con una parola tipicamente aretina, particolarmente bella e distintiva. Prima non si annunciavano la magistratura, la giuria e i rettori: era tutto piuttosto stringato e si annunciava solo l’ingresso dei vari quartieri. Parlando con lo storico Berti introducemmo gli ingressi di queste altre figure. L’ultima modifica che ho introdotto qualche anno fa ha riguardato i Fanti del Comune ai quali volevo rendere omaggio. Prima venivano annunciati assieme ai Valletti del Comune e da quel momento li ho separati, rendendo autonoma la loro visibilità. Credo inoltre di aver contribuito a rendere più interessante la cerimonia dell’estrazione delle carriere (che in precedenza risultava piuttosto scarna) apportando variazioni stilistiche e aggiungendo parti. Comunque la modifica più eclatante, quella certamente più celebre, resta l’introduzione del “Ma!”
Eccoci al famoso “Ma!”… Raccontaci!
In precedenza dovendo annunciare una decurtazione o un aumento di punteggio si diceva: “Il primo cavaliere del quartiere X aveva marcato…”, per cui il pubblico e i figuranti capivano subito che il punteggio sarebbe stato diverso. Io avevo trovato questa formula e per i primi anni l’ho rispettata. Ricordo che a quel tempo il Balestri era regista, non più maestro di campo. Erano rimasti in gara due quartieri, Porta Crucifera e – credo – Porta Santo Spirito. Io all’epoca ero posizionato sotto la magistratura, non sull’attuale baldacchino. Avevo accanto il Balestri e gli dissi che volevo rendere l’italiano più corretto e passare dal trapassato prossimo al passato prossimo: questo cavaliere ha perso la lancia adesso e il trapassato prossimo non è adatto per descrivere una azione appena compiuta. Questo ragionamento lo proposi al Balestri mentre veniva deciso il punteggio, così, ricevuto il suo placet, decisi d’emblée di introdurre questa nuova formula. Leggendo quindi il punteggio usai la formula “il cavaliere ha marcato punti…” e la piazza si sollevò! Mentre il quartiere che doveva essere penalizzato gioiva, pensando che questo non sarebbe avvenuto, mi vedo i figuranti di Porta Crucifera accorrere in massa verso di me. Mi erano arrivati praticamente sotto quando io urlai un “Maaa!”, aggiungendo poi “avendo perso la lancia” eccetera… Sarà stato l’81 o l’82. Si tratta quindi, come capite, di una modifica in corso d’opera che, credo, sia stata stilisticamente e concettualmente molto corretta. In questo modo si alimenta certamente lo spettacolo e la suspense, oltre a fare un buon servizio alla nostra lingua. Siamo ormai arrivati al punto che la piazza lo dice in massa subito e io infatti mi affretto a dirlo il più veloce possibile!
Nella tua lunghissima carriera avrai certamente osservato numerosi cambiamenti nello svolgimento della giostra…
Certamente! In passato c’erano molti uomini in borghese in piazza, la polizia municipale era vestita di bianco e questo colore spiccava troppo. Tutto questo per quanto riguarda la scenografia. In generale la manifestazione è cresciuta: è cresciuta la regia, è cresciuto il senso di appartenenza. Gli ultimi anni dimostrano quanto soprattutto i giovani stiano addosso a questa manifestazione. Io ho sempre sostenuto che la giostra ancora non è entrata nella tradizione vera, perché ha soltanto ottant’anni, troppo pochi per stabilire una tradizione. La città di Arezzo ha registrato un forte inurbamento dalla provincia e quindi molte persone non avevano senso di appartenenza verso la giostra. Sono i loro figli ad averla sentita e adesso sono i figli dei figli ad avere una grande passione per questa manifestazione, perché è loro, ci sono nati.
Quanto hai studiato sui tempi e la recitazione per interpretare il Bando e la Disfida?
Non posso dire di avere studiato ma piuttosto di essermi autoaggiornato di volta in volta. La lettura non e facile e io comunque non ho mai fatto una prova. L’aspetto importante sono le pause perché io non declamo semplicemente ma ascolto. È la piazza che mi dà i tempi. Anche quando dico il punteggio: “il primo cavaliere…” – pausa – e la piazza, con quel brusio di 5000 persone si cheta. Attendo maggior silenzio e proseguo. La piazza si silenzia e, se il punteggio è lampante, lo annuncio rapidamente. Se invece il punteggio è incerto o comunque determinante, attendo il silenzio tombale. Cerco di intercettare l’umore della piazza, il suo silenzio, se solo affievolito o tombale. Perché la suspense in base al momento cambia, quindi è importante interpretare il silenzio e le emozioni degli spettatori. Per me l’ascolto della piazza è importante e infatti alcuni mi chiedono che cosa io guardi…ma in realtà con gli occhi, abbracciando la piazza, cerco di ascoltarla. Credo in definitiva che sia tutto questo, questa cura dei dettagli e il rispetto delle emozioni collettive, ad aver creato il mio personaggio. Questi aspetti io li ho capiti attraverso il cinema. Penso a quelle figure del mondo militare che impartiscono ordini e comandi: la figura del sergente. Pensate anche quanto questo stesso stile militare sia importante nella declamazione degli ordini pronunciati dai maestri di campo. Anche per loro ovviamente i tempi, le pause e gli accenti sono fondamentali. A me su tutto questo ha certamente aiutato l’insegnamento di Franco Balestri.
Con circa 80 giostre sulle spalle hai dei ricordi particolari, qualche aneddoto che ti è rimasto dentro?
Ricordo molto bene la giostra di giugno del 1978, che fu un flop, con scarso pubblico anche perché non vennero montate le tribune e il gli spettatori erano solo in piedi. La giostra venne anche rimandata per pioggia. Per Porta Santo Spirito tirò Carlo Veneri facendo uno. Lessi il punteggio comunicato: quattro! Non sto a dirvi la reazione della piazza! Venne letteralmente tirato giù il baldacchino della giuria! Discussioni interminabili e lettura del nuovo punteggio: uno. A quel punto, apriti cielo per Porta Santo Spirito! Il punteggio non si cambia, veniva richiesto dai giallo-blu. Il Pieraccini, rettore di Santo Spirito, decise di ritirare il quartiere dalla piazza e la giostra proseguì in tre. Fu una situazione complicata e incresciosa come cambiare un punteggio dopo averlo annunciato. Fu davvero una bruttissima giostra. In passato le giostre di giugno non sono state frequenti e negli anni in cui si sono corse due giostre si svolgevano l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre. La giostra di giugno è forse meno sentita e meno partecipata rispetto a quella di settembre perché l’aretino con l’inizio dell’estate si vuole allontanare dalla città mentre a settembre vuole riprendersi Arezzo. Ma più che aneddoti particolari ricordo con un sorriso la mia prima “papera”. Credo fosse il ‘94, ci fu un lungo spareggio fra Sant’Andrea e Porta Crucifera. Dopo aver ripetuto in questa interminabile alternanza di carriere i nomi dei due quartieri, al momento in annunciare il tre di Porta Crucifera, aggiunsi subito la proclamazione della vittoria attribuendola per un attimo proprio a Porta Crucifera! La correzione fu istantanea ma ovviamente l’errore fu notato. Il quartiere di Sant’Andrea su questo episodio infatti mi prese bonariamente in giro. Comunque piccoli errori possono capitare spesso se vai in automatico e se ti distrai è molto probabile che accada. Devo ammettere che la mia ultima giostra l’anno scorso è stata faticosa in termini di dispendio di energia e, conclusi i Bandi e la Disfida, ho portato in fondo la giostra leggendo i punteggi quasi in automatico.
La piazza è abituata a vederti con la pergamena fra le mani. Tu leggi o sfoderi il rotolo soltanto per un aspetto scenografico?
Ovviamente quella posizione è una necessità scenografica, però io devo leggere. È una grande fatica, ma è necessario leggere proprio per scongiurare il ricorso
alla memoria che rischia poi di farti commettere degli errori. La memoria è più veloce dello sguardo e quindi per evitare il rischio di saltare un passaggio cerco di annullare la memoria e di affidarmi soltanto alla lettura concentrata. Ricordo bene che in una prova generale, affidandomi per un attimo alla memoria o invertito il “giuro atterrir, giuro atterrare il mondo”!
Puoi raccontarci come hai vissuto il passaggio di testimone fra te e tuo figlio, anche in termini emotivi?
Nel ‘99 o nel 2000, la magistratura ci chiamò prima di effettuare le nomine (perché queste vengono effettuate ogni anno perché l’araldo, il maestro di campo eccetera “scadono” dopo ogni giostra di settembre). Ci venne detto che sarebbe stato gradito se ogni figura si fosse creata un vice da utilizzare eventualmente in caso di impedimento, di imprevisto. Io dissi che, nonostante volessi evitare di dare la sensazione di esercitare del “nepotismo”, avevo la condizione peculiare di un figlio con la mia stessa voce e che quindi avrebbe potuto riprodurre caratteristiche estetiche molto simili. La cosa venne accolta con favore e da quel momento cominciai ad essere affiancato da mio figlio, tenendomelo accanto e dandogli spazio all’interno delle prove. Qualche anno fa cominciò a fare l’intera prova generale. Poi dopo la mia giostra di giugno 2014, subentrati dei seri problemi di salute, comunicai alla magistratura di non essere in grado di fare quella di settembre. È così che mio figlio è stato catapultato nella giostra e all’ultimo minuto effettivamente non so proprio come sia riuscito! L’emozione ovviamente per lui fu fortissima e ricordo bene che la mattina della giostra aveva per l’emozione un calo evidente di voce. Me lo disse preoccupato e io non potevo fare altro che rispondergli che la voce doveva trovarla! Chiaramente come per il mio esordio quarant’anni fa, anche la sua prima giostra non è stata semplice e i miglioramenti vengono con diminuire dell’emozione e con esperienza. Mi pare che la piazza abbia accettato con favore questo avvicendamento con tratti stilistici e timbrici molto simili: come dire, cambia l’attore ma rimane il doppiatore. Mi rendo conto che non sia facile, che non si tratti di una facile successione, dopo la mia presenza per così tanto tempo. Il rischio in effetti è di sentirsi psicologicamente schiacciati dalla figura che ti ha preceduto. Credo sia fisiologico e normale.
Nel difficile rapporto fra tradizione e innovazione, ci sono degli aspetti che secondo te meritano di essere riconsiderati nella giostra?
Alcune variazioni e cambiamenti sono apprezzabili, l’aggiornamento è importante, ma non tutto mi trova d’accordo. Dobbiamo sempre ricordarci che più cose si modificano più è difficile affermare e far radicare una tradizione consolidata. Personalmente non apprezzo l’introduzione delle cellule fotoelettriche e aveva ragione Morelli di Porta Crucifera quando affermava che in effetti la funzione delle fotocellule era sempre stata svolta dal mazzafrusto del Buratto! Ricordiamoci che prima dell’incidente al Veneri, al quale si attorcigliarono le corde delle palle del mazzafrusto attorno al collo, queste erano più lunghe delle attuali e quindi capitava spesso di essere colpiti se la carriera non era sufficientemente veloce. In conclusione la giostra rimane un gioco cavalleresco dove conta l’aspetto visivo. Quindi, rispetto all’introduzione di
strumenti tecnologici di misurazione, credo che il mantenimento di una dimensione più “artigianale” sarebbe un valore aggiunto per la manifestazione.
Alla fine la piazza e la giostra sono fatte e animate da persone. Quanto è cambiata la giostra da un punto di vista sociale? Noti cambiamenti sostanziali in questi quarant’anni? Probabilmente tante figure che hanno popolato i quartieri e vissuto la giostra adesso davvero non ci sono più…
Certo, penso specialmente a Porta Crucifera, popolata da personaggi che non esistono più. C’era una mentalità ed un atteggiamento particolare: era possibile fare una scazzottata in piazza e poi, finito tutto, offrirsi da bere. Una veracità particolare si è sempre riscontrata in Porta Crucifera, ma io posso testimoniare anche di una particolare vita sociale che nel passato c’era a Porta del Foro. San Domenico, come scrisse padre Caprara, era una sorta di Repubblica: c’era di tutto e oggi tutto quanto è molto cambiato. È proprio cambiato il centro storico e adesso quella zona è molto più periferica. Nella mia infanzia e giovinezza il centro storico era animato proprio dal quartiere di Porta del Foro e di Porta Crucifera. Mi ricordo alla metà degli anni 50, dopo una giostra vinta da Porta del Foro, che giù nella porta fu allestito un baldacchino decorato con tralci di vite e una botte che buttava vino…Ricordo bene in quanti si accalcavano per bere a piacimento, piuttosto che andare alla mescita a bere un bicchiere! Era con questo tipo di semplicità e spontaneità che si celebrava una vittoria. All’epoca l’ente giostra, l’ENAL, pagava un figurante 700 lire e c’erano tanti padri di famiglia che si vestivano perché quei soldi facevano comodo! È cambiata la società e sono cambiate ovviamente le persone. Nella mia memoria rimane più vivo e più bello quella botte che buttava vino rispetto alle tante ricche cene della vittoria alle quali ho partecipato.
In conclusione di questa nostra chiacchierata, con quali parole definiresti la giostra?
La giostra è una festa di popolo, con una pennellata di storia e tradizione, e una nota di colore. Il palio di Siena ha caratteristiche comuni ma probabilmente aspetti più sportivi. Quella di Arezzo è una manifestazione un po’ più maschia, più guerresca, di fatto una battaglia contro una fazione diversa. Questo è dimostrato da quell’anatema che viene lanciato alla città di Arezzo nella Disfida… Quegli “orrendi mostri” che conosciamo bene e che ho pronunciato così tante volte.
Hai fatto riferimento alle pennellate di colore. Noi Sbandieratori forse rappresentiamo soprattutto proprio questo. Che rapporto hai avuto col Gruppo?
È stato sempre bello, sempre positivo, come del resto con i Musici e le altre presenze della giostra. Io personalmente sono sempre stato disponibile al dialogo e al confronto con le varie componenti della giostra e con il gruppo sbandieratori il rapporto è sempre stato bello. Da voi ho ricevuto sempre piacevolezze. Ricordo bene che alla fine di ogni vostra esibizione in piazza Pasquale Livi veniva da me e mi chiedeva cosa ne pensassi, e manifestando il mio apprezzamento vedevo la sua soddisfazione. Sappiamo bene che per parte dei quartieristi lo spettacolo del gruppo sbandieratori appare superfluo, distoglie dalla giostra in sé. Io, da parte mia, ho sempre molto apprezzato le vostre esibizioni e la vostra presenza in piazza. Al quartierista, in effetti, interessa la gara e la lancia doro. Ma alla fine il pubblico è attento e certamente siete molto apprezzati. Credo sia giusto ricordare, e non ho mancato di farlo presente ai vari attori della giostra, che noi tutti siamo al servizio di uno spettacolo, impersoniamo dei ruoli. Dobbiamo comunque portare rispetto al pubblico e per poterlo fare bene dobbiamo portarci rispetto reciproco.
da “L’Alfiere” – n. II – 2017, pagg. 8-9; n. III – 2017, pagg. 12-15