Non esiste qualcosa di più spirituale della luce e quando questa filtra attraverso i colori di una vetrata antica il suo potere evocativo si amplifica ancor di più. Molte chiese della città di Arezzo esibiscono alle proprie pareti finestre dipinte da eccellenti autori del passato, fra i quali il più noto è senz’altro Guillame De Marcillat, maestro indiscusso del ‘500. Dopo di lui l’arte del vetro conobbe un periodo di abbandono, dovuto ai mutati canoni estetici dei secoli XVII e XVIII. Solo dalla metà dell’800 in poi, grazie all’avvento della cultura romantica e del rinnovato interesse per il Medioevo, si riscoprirono in Europa le tecniche legate alla pratica vetraria. Anche gli aretini, impegnati nel recupero e nel completamento di alcuni importanti luoghi sacri del territorio, commissionarono in questo periodo la realizzazione di numerose vetrate. Tuttavia, quando l’arciprete Giovan Battista Ristori nella guida storico-artistica di Arezzo (1871) scriveva: “Entrati vedrassi la magnifica prospettiva della chiesa, che dalle sue belle finestre binate, serrate con vetri colorati alla giottesca, tramanderanno una modesta, ma sufficiente luce”, nessuno si immaginerebbe oggi che potesse riferirsi alla Pieve di Santa Maria Assunta. Eppure, il restauro in stile romanico che la Pieve subì fra il 1859 e il 1880 prevedeva anche la realizzazione di finestre dipinte, delle quali restano oggi soltanto due esemplari con disegno a mosaico; ciononostante è proprio da essi che è emerso il nome del maestro Francesco Moretti.

Il laboratorio di questo importante vetraio perugino conserva ancora l’aspetto neo-medievale di un tempo, l’atmosfera di quando egli stesso lavorava ai cartoni preparatori delle opere e ritraeva i corpi in posa delle nipoti assunte a modello per lui. La consapevolezza che si tratta, inoltre, di una manifattura ancora attiva al giorno d’oggi, ne ha aumentato ulteriormente il fascino quando mi sono trovata a sfogliare e a studiarne le carte d’archivio. San Donato, San Giovanni Battista e San Francesco: furono loro i Santi scelti per la grande vetrata circolare della controfacciata e per le due monofore della tribuna, da collocarsi nella Pieve di Arezzo. Grazie al ritrovamento di documenti epistolari e di disegni preparatori riferibili ai primi due Santi, realizzati in scala 1:1, è stato possibile riconsegnare al presente un pezzo di storia andata perduta. Per l’opera che, invece, ritraeva San Francesco, purtroppo, non esistono più evidenze grafiche e, probabilmente, non venne mai realizzata. Un volto maturo e carico di verità umana è quello che, nel bozzetto dell’opera, definisce l’aspetto di San Donato, protettore della città e, per questo, figura alla quale gli aretini rivolgevano da secoli le proprie fiduciose preghiere; era lui che, incastonato nell’occhio della facciata, doveva vegliare sulla Pieve e sui suoi fedeli. I tratti salienti del volto di San Giovanni Battista, invece, vennero studiati dal maestro Moretti e fissati in un dipinto ad olio su tela. L’intensità dello sguardo, solenne e inquieto in un tempo, sembra appiattire le distanze fra l’uomo e il Santo, in una tensione emotiva che chiarisce la responsabilità di essere precursore della venuta di Cristo e primo apostolo di Gesù. Questi disegni lasciano solo presagire quale fosse la grande raffinatezza delle opere in vetro, ma si sa, le vicende contemporanee agli artisti sono spesso tormentate da incomprensioni e dilemmi; per questo, alla visione del bozzetto per la figura di San Donato, il committente Ristori lamentò che, se Moretti avesse avuto maggiore fede, “non avrebbe fatto la faccia di un fattore, ma di un Santo”. Tant’è, al di là di ogni critica e superate alcune controversie su costi e tempi, le vetrate furono realizzate entro il 1879.

Già nel 1883, però, la vetrata circolare dovette essere smontata e ricoverata a Perugia, presso il laboratorio del Maestro. Cinque colpi di pistola, esplosi per volere di chissà chi, l’avevano danneggiata al punto tale che Moretti ritenne necessaria la completa ridipintura della testa. L’allora Sindaco di Arezzo si pronunciò molte volte sulla questione negli anni successivi, esortando Moretti a restaurare l’opera nella volontà di ricollocarla al suo posto nella Pieve, ma, di fatto, più nulla si seppe di essa. I documenti di corrispondenza fra i due personaggi s’interrompono bruscamente senza arrivare ad alcuna conclusione; quel che è certo è che il San Donato di Moretti non tornò più a benedire i credenti nella Pieve, poiché le fonti storico-artistiche di inizio ‘900 rammentano in chiesa la presenta dell’opera con San Giovanni Battista, ma non quella con San Donato. Non solo, la totale mancanza di tracce della stessa opera presso il laboratorio perugino, ammanta la sorte di questa di un mistero tutt’altro che risolto. Che le vetrate in questione, soprattutto quelle con disegno a mosaico, non fossero apprezzate da alcuni cittadini, ce lo racconta anche il sacerdote e conoscitore d’arte Don Ferruccio Bigi. Nel 1934 si lamentava di quale grave errore fosse stato quello di apporre “alle finestre del tempio – riferendosi alla Pieve – vetrate a disegno geometrico e a forme svariate e bizzarre, sconvenientissime all’aspetto maestoso e severo del sacro edificio”, augurandosi che l’anno successivo queste “insopportabili vetrate”, così come le chiamò, venissero smontate. A farsi carico dell’incombenza, proprio in quegli anni, fu l’architetto aretino Giuseppe Castellucci, fautore ed attuatore di molti restauri di ripristino presso gli edifici di culto della Provincia aretina. Nonostante le polemiche sollevate intorno alla loro realizzazione, la Pieve conserva ancora due vetrate dipinte del periodo, ciò che, invece, non ci è stato tramandato è il motivo del loro mantenimento in essere. Se la storia è fatta di piccoli tasselli che si intersecano fra loro, vorrà dire che anche questo racconto di ricerca sarà servito a riportare alla luce qualcosa, che altrimenti, sarebbe rimasto sepolto fra le carte.

Da molti secoli la Pieve è un luogo caro agli aretini, soprattutto perché incaricato di ospitare nella sua cripta la reliquia della testa di San Donato. Edificio simbolo del territorio, è tenuto vivo dalla fede e da varie iniziative culturali, come quella di “Musica, Bandiere e Voci in Pieve” che l’Associazione Sbandieratori organizza da alcuni anni, con l’intento di dedicare a tutta la città di Arezzo un momento di spettacolo e buona musica.

Bibliografia:

1871, G. B. RISTORI, Nuova guida della città di Arezzo, Firenze, Cellini ed.

1934, F. BIGI, Arte sacra nella diocesi aretina (1920-1934), Arezzo, S. G. Ettore Sinatti.

Fonti archivistiche:

ASDA (Archivio Storico Diocesano di Arezzo), Restauri della Pieve, 1872

AMC (Archivio Moretti-Caselli): La pittura a fuoco sul vetro. Lavori eseguiti, fascicolo 3, Arezzo San Donato della Pieve.

da “L’Alfiere” – n. II – 2020, pagg. 10-11