Riprendendo le fila dell’ultimo articolo dedicato alla presenza dell’Ordine in Arezzo, nell’VIII centenario della morte di San Domenico, con il presente breve contributo voglio ricordare un altro anniversario importante caduto in questo 2021: i duecento dalla scomparsa di Napoleone imperatore. Della serie “Non solo Dante-bis”.
E uno si chiede: ma che c’entra Napoleone con Arezzo? E che c’entra Napoleone ancor di più con la Giostra del Saracino? Bah, forse (a livello della nostra manifestazione) non poi molto di più che con l’Alighieri, il quale per quanto nel XXII dell’Inferno abbia composto quel celeberrimo «E vidi gir gualdane / fedir torneamenti e correr giostra», non ha mai specificato altro che possa far coincidere quei caroselli medievali col Saracino dei secoli successivi.
Sia chiaro, Napoleone ad Arezzo non c’è venuto, ma la nostra città gli avrebbe tributato una solennissima Giostra nel 1810, il 15 di Agosto, in un’occasione particolare e in una data non casuale: all’apice del suo potere sul continente europeo, in quell’anno (1 Aprile) si era sposato per la seconda volta con Maria Luisa d’Asburgo-Lorena; per l’Assunta poi, nove anni prima, era stato ratificato il Concordato tra la Francia e Papa Pio VII. Insomma festeggiare il matrimonio e rabbonire i rapporti con la Chiesa cattolica, in quell’anno particolarmente tesi dopo l’annessione di Roma all’Impero e la deportazione vicino Parigi del Pontefice stesso.
Al di là di questo inciso storico, Arezzo ad oggi dovrebbe essere ben grata a quel complesso periodo di occupazione, che non può essere riassunto (né liquidato) nella rivolta del “Viva Maria” del 1799 (altra memoria scomoda e ancora non digerita) o nel “Cattivi francesi!”, perché per punizione di quella han fatto saltare i bastioni del Belvedere e del Soccorso in Fortezza.
Se noi oggi abbiamo Il Prato dove andare distesi o a vedere i fuochi d’artificio, lo dobbiamo ai lavori di sistemazione intrapresi tra 1807-09: elegante luogo di passeggio, per una borghesia che all’epoca forse neppure c’era. Quante giostre poi proprio in quell’ellisse si sarebbero corse e fino al “Palio di San Donato” esauritosi negli anni ’20 del Novecento!
Se noi oggi abbiamo il Museo d’Arte Medievale e Moderna in San Lorentino, dobbiamo “ringraziare” le soppressioni di monasteri ed ordini religiosi proprio d’età napoleonica: da decine di strutture confluirono nei depositi della Fraternita dei Laici, tele e tavole, dipinti e pale d’altare esposti inizialmente nell’ex-chiesa di Sant’Ignazio (Convitto) e finalmente nella sede odierna.
Se noi oggi nel contempo abbiamo un Teatro civico (il “Petrarca”) e godiamo degli affreschi di Piero, dobbiamo ringraziare la Storia, tirando un sospiro di sollievo perché l’idea originaria del 1812 era di costruirlo, in onore dell’Imperatore, nella sconsacrata San Francesco! Roba da matti, ma buona l’idea, il sentire bisogno di un pubblico teatro.
Senza tirarla troppo per le lunghe, perché ognuno dei suddetti accenni richiederebbe ben più precise indagini (che vorrò fare), gli anni del dominio napoleonico per la nostra città coincisero con l’apertura di molti cantieri culturali ed architettonici, di grandi cicli neoclassici come quelli affrescati da Luigi Ademollo tra la Cattedrale e la Pieve e Luigi Catani a Palazzo Rossi, di pittori rinomati a livello europeo come il nostro Pietro Benvenuti alla Corte parigina, e ancora Ludovico Venuti e tant’altri.
Quando la Fraternita nel 1813 si decise a rendere omaggio a Napoleone, chiedendo infelice copia a Jacopo Martini dell’iconico ritratto fatto a Sua Maestà da Jacques Luis David, la stella del generale còrso era ormai prossima al tramonto.
Presi forse da più sommi nomi (come se il Santo di Guzmán o il Nostro non lo fossero altrettanto universalmente) la Cultura italiana e quella locale non si sono soffermate forse abbastanza a considerare questi due anniversari, personaggi. Non me ne voglia Dante che, per quanto male abbia detto di noi aretini, comunque alla fine la Lancia se l’è vista dedicare…
da “L’Alfiere” – n. IV – 2021, pagg. 12-13
Gabriele Angelo Donnini