Questo articolo contiene un racconto che mostra fin dove può portare la curiosità e l’amore per la propria città. In particolare ci è capitato di intercettare online una storia interessante che vede protagonisti il Sig. Pier Andrea Ulivi e il Pozzo di Colcitrone. Abbiamo chiesto al diretto interessato di raccontare alla rivista L’Alfiere dell’Associazione Sbandieratori di Arezzo dove lo ha spinto la propria passione e i risultati che ha raggiunto.

“Sono un quasi pensionato di 67 anni, vivo a Giovi da 25 e, fra le mie tante passioni, ho anche quella di collezionare foto e documenti di tutte le epoche relativi ad Arezzo, la mia città. Su Facebook ho trovato una pagina molto adatta per far questo, si chiama “Arezzo Un contributo alla documentazione. Solo capoluogo e sue frazioni”, è gestita molto bene da Carla Cassai ed ha più di 6000 followers che collaborano attivamente alla pagina condividendo immagini, documenti PDF, documenti WORD e quant’altro.

Foto 1: Porta Crucifera e la sua Piazza nel 1890

Tutto è partito quando nella pagina suddetta è comparsa la foto in bianco e nero di un dipinto di G. Cristelli, raffigurante Porta Crucifera e la sua piazza così come erano nel 1890, prima che la porta venisse distrutta per agevolare l’ingresso nel Quartiere di Colcitrone. Questa foto ha attirato fortemente la mia attenzione di tifoso rossoverde e, dopo che ho trovato la sua versione a colori nella copertina del libro “L’Aretino” di A. Basi (foto 1), mi è saltata subito all’occhio, in basso a sinistra del dipinto, la presenza di un pozzo del quale non sapevo nulla, pur avendo vissuto per 40 anni in Viale Matteotti, che dista 200 metri da Piazza Colcitrone.

Dialogando con i membri della pagina, ho saputo che probabilmente era un Pozzo Etrusco che è rimasto in uso fino all’inizio degli anni ’30, dopodiché era stato tolto (nessuno sa perché) e la sua vera, un grosso monolito in pietra, era stata portata al Museo Archeologico di Arezzo.

Foto 2: Il Pozzo di Porta Crudifera

Frugando su Google, ho trovato un interessante documento PDF su Arezzo Etrusca, all’interno del quale ho trovato una bella foto del Pozzo Etrusco risalente agli anni ’20 o ’30 (foto 2). L’ho condivisa subito nella pagina, al che un altro membro del gruppo, l’esperto Pierugo Ghini, ha postato un’altra foto del pozzo, che ha trovato nel sito dell’Archivio Storico Fotografico Aretino. Mi sono accorto che la foto era rovesciata e, quando l’ho girata dalla parte giusta, ho visto che era la stessa foto postata da me, però più nitida e con una visuale più ampia.

A questo punto sulla pagina Facebook di Carla Cassai è partito un dibattito su che fine avesse fatto la vera del Pozzo Etrusco, se fosse ancora al Museo Archeologico oppure no, perché nessuno l’aveva mai vista in esposizione, né al Museo né altrove. Allora con un altro membro della pagina, la brava Daniela Saba, ci siamo detti di capitare quanto prima al Museo Archeologico di Arezzo per chiedere informazioni.

Foto 3: Il Pozzo custodito nel seminterrato del Museo Archeologico di Arezzo

Chi andava prima al Museo informava tutti gli altri. Alcuni giorni dopo, visto che ero andato in città per sbrigare alcune faccende personali, mi sono deciso e ci sono andato. Mi ha fatto molto piacere tornare al Museo dopo tanti anni, non vi mettevo piede dall’ultima volta dell’esposizione della Chimera d’Arezzo (quella originale), l’ho trovato molto bello e molto ben tenuto, con due interessanti filmati relativi alle terrecotte rosse aretine di epoca romana (gli Arretina Vasa) e agli scavi archeologici del Pionta.

Dopo aver visitato tutto il Museo e non avendola trovata, ho chiesto della vera al personale presente in loco (tra l’altro sono stati tutti molto gentili e prodighi di informazioni su tutti i reperti in esposizione) i quali, non sapendo nulla di questo particolare reperto, mi hanno dato la email personale di Maria Gatto, direttrice del Museo Archeologico di Arezzo, per ulteriori approfondimenti.

Alla fine della visita, potendo farlo, ho fatto un’escursione nella spianata dell’Anfiteatro Romano e, facendo tutto il giro, mi sono imbattuto nelle vetrate che fanno vedere il seminterrato del Museo. In una di queste vetrate, insieme ad altri reperti e appoggiata di fianco sulla mensola di una grande colonna di sostegno del Museo, ho visto quella che ho subito pensato potesse essere la vera del Pozzo Etrusco di Porta Crucifera. Le ho fatto qualche foto (foto 3) e, confrontandole con le due foto d’epoca in mio possesso, ho notato diverse corrispondenze con i segni presenti sulla pietra della vera.

Foto 4-5: Le corrispondenze tra le foto che dimostrano con certezza che il Pozzo di Colcitrone è adesso custodito presso il Museo Archeologico

I fori e le rigature nella pietra erano identici (foto 4 e foto 5). Fortunatamente il reperto è stato messo in modo tale da poter distinguere questi segni da fuori, visto che il seminterrato del Museo non è visitabile e quindi non mi è stato possibile avvicinarmi di più. Ho spedito via email le foto alla Sig.ra Gatto la quale, gentilissima, mi ha addirittura telefonato dopo un paio d’ore, confermandomi che quel monolito è proprio la vera del Pozzo Etrusco di Piazza Colcitrone che, da quando è stata tolta dalla piazza, è custodita da quasi un secolo nel seminterrato del Museo. La Sig.ra Gatto mi ha anche detto che molto presto verranno organizzate delle visite guidate del seminterrato, perché vi sono presenti molti altri reperti che non è stato possibile tenere in esposizione ai piani superiori. Ecco qua. Sono molto contento di aver risolto questo “mistero archeologico”, è il mio piccolissimo contributo alla maggiore conoscenza della storia della mia città, tengo molto ad essa e vorrei che tutti gli aretini fossero più consapevoli del tesoro sopra il quale vivono, così forse smetterebbero di rovinarlo abbattendo mura, distruggendo porte, interrando pozzi o demolendo chiese e conventi (e lo dico da non credente!). Magari frugando ancora su Internet riuscirò a scoprire altri piccoli segreti di Arezzo, così potrò condividerli con Carla Cassai & company.  Scusate per la scarsa qualità della foto scattate da me (foto 3), purtroppo avevo il sole di spalle e la vetrata del Museo non era pulitissima, quindi non potevo fare di meglio”.

L’interessante storia del Sig. Pier Andrea Ulivi lo ha portato dalla luce del computer al seminterrato non visitabile del museo, riuscendo a mostrare, a nostro parere, non soltanto i risultati della sua ricerca, ma anche lo spirito che lega gli aretini alla propria città e al proprio quartiere.

da “L’Alfiere” – n. IV – 2024, pagg. 14-15

Lorenzo Diozzi