Tra le numerose trasferte del periodo che si conclude con la Giostra del Saracino, in questo articolo ne ricordiamo tre.

Partiamo quindi da aprile quando il Gruppo, dopo cinquantacinque anni dalla prima volta, è tornato a Cava de’ Tirreni, per suggellare uno storico gemellaggio con gli Sbandieratori Cavensi. Era infatti il 15 giugno 1969 quando gli Sbandieratori di Arezzo parteciparono ai solenni festeggiamenti in onore del Santissimo Sacramento di quell’anno, invitati dal Comitato Monte Castello. Di lì a poco sarebbero stati formati i primi sbandieratori cavensi e nel 1973 venne costituito da Mimmo Sorrentino il Gruppo  “Sbandieratori Cavensi”. “Lo storico gemellaggio con gli sbandieratori di Arezzo – ha detto Domenico Burza, Presidente dell’Ente Sbandieratori Cavensi – rappresenta idealmente la conclusione dei festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della fondazione dell’Ente. Gli sbandieratori di Arezzo sono stati il primo gruppo presente a Cava de’ Tirreni e dalla loro emulazione ha preso il via l’intero movimento cittadino. È per un noi un onore ospitarli nuovamente cinquantacinque anni dopo e suggellare con loro un patto di amicizia perenne”.

Passiamo poi al mese di maggio, quando i nostri ragazzi sono stati nuovamente protagonisti a “Les Grandes Mèdièvales d’Andilly”, in Francia. In questa cittadina, non distante da Ginevra e dal confine con la Svizzera, dal 1996 viene organizzata una festa medievale che negli ultimi anni ha acquisito prestigio, fino ad affermarsi come uno degli eventi culturali più rilevanti del proprio territorio. Basti pensare infatti che le edizioni della festa, che si svolgono anche in estate e nel periodo natalizio fanno registrare un pubblico complessivo di quasi mezzo milione di visitatori. Oltre alla sfilata che ha visto partecipare gli Sbandieratori di Arezzo, la manifestazione ospita anche giostre e sfide tra cavalieri che si scontrano tra loro a cavallo e armati di lancia e scudo.

Veniamo infine al mese di giugno, quandp il Gruppo è stato nuovamente ospitato dall’Ambasciata Italiana in Bosnia ed Erzegovina, in occasione dei festeggiamenti del 2 giugno, adempiendo ancora una volta ad uno dei principali compiti della nostra Associazione, riconosciuto anche nel nostro Statuto, di rappresentare Arezzo nel mondo.

Se 2 anni fa la città che ci ospitò fu la capitale Sarajevo, quest’anno l’evento si è tenuto a Mostar, alla presenza dell’Ambasciatore Italiano Marco Di Ruzza, del sindaco di Mostar Mario Kordic e dell’Assessore al Bilancio del Comune di Arezzo Alberto Merelli.

Visitare Mostar ci ha ricordato che sono trascorsi quasi 30 anni dall’Accordo di Dayton, che mise fine alla guerra in Croazia e Bosnia ed Erzegovina. Oggi le campane rintoccano, il muezzin richiama alla preghiera, le comunità rivivono insieme. Dei circa centomila abitanti di Mostar, il 48 per cento è formato da croati, il 44 da bosgnacchi e il 4 da serbi, che sono la sola comunità a non aver reinvestito nella città dopo la guerra. Prima del 1992 erano infatti il 18 per cento. Eppure la mescolanza comunitaria oggi ha una configurazione diversa. Se, prima della guerra, serbi, croati e bosgnacchi abitavano negli stessi quartieri, oggi le zone sono suddivise “etnicamente”. La maggioranza dei croati vive sulla riva occidentale del Neretva, il fiume che attraversa Mostar, mente i bosgnacchi popolano la riva orientale. Si lavora e si passa da una riva all’altra del ponte senza alcun problema, ma resta la sensazione che ogni comunità abbia il suo territorio.

Il vecchio ponte di Mostar (Stari Most), costruito a metà dl XVI secolo, attira sempre tanti curiosi. È il simbolo della città, ma sembra aver perso la sua funzione principale che era di unire le comunità.

Era il 3 novembre 1993 quando fu abbattuto a colpi di cannone. Le unità croate lo bombardarono per due giorni finché, appunto, la mattina del 9 novembre alle dieci e quindici, il ponte crollò nel fiume. La distruzione del Ponte Vecchio rappresenta l’apice della drammatica guerra che i croati conducono contro i propri fino a ieri amici, vicini e alleati: i musulmani bosniaci. E sebbene l’azione avesse poca utilità dal punto di vista strategico e militare, l’effetto psicologico sulla popolazione musulmana fu enorme. Da quel momento, infatti, la città cessò di esistere come spazio urbano condiviso per trasformarsi in due nuclei attraversati da un vuoto che è la nuova linea di confine.

Una condizione che non è stata né invertita né annullata dall’edificazione del nuovo ponte, inaugurato nel 2004 anche grazie ad un importante contributo italiano. Oggi il ponte di Mostar, ricostruito con la stessa pietra del ponte abbattuto e secondo lo stesso disegno dell’originale, è un patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, ma continua ad essere percepito come linea di confine e la città resta profondamente divisa dal punto di vista etnico e religioso.

La guerra non è dunque scomparsa. Ha lasciato tracce ovunque nella città. Anche se la ricostruzione è in fase avanzata, edifici sventrati e muri colpiti ricordano a ognuno il dramma vissuto, i bombardamenti, i tiri dei cecchini, le vite perse per andare a riempire una tanica d’acqua. I cimiteri di Mostar mostrano l’entità della perdita di vite umane. Su diversi livelli, le tombe rivelano l’età dei dispersi. La maggior parte era sotto i trent’anni. Il più giovane ne aveva 19. In un angolo della strada una scritta dipinta su una pietra dice a chi la guarda: “non dimenticare”.

da “L’Alfiere” – n. II – 2024, pagg. 2-3

Romano Junior Vestrini