“… il disegno è importantissimo, darei la costruzione per il disegno”. Mi piace partire con questa sintetica frase nel ricordare un maestro dell’architettura, un architetto poliedrico capace di non adeguarsi alle tendenze della sua epoca e che ha lasciato un segno, una firma ben riconoscibile all’interno della nostra città, Giovanni Michelucci.
Michelucci fu tra i protagonisti dell’architettura del ‘900, al centro di appassionati dibattiti e polemiche perché costantemente lontano dalle mode del momento. Ebbe modo di conoscere i più grandi architetti del Novecento, tra tutti sicuramente Le Corbusier, Mies Van der Rohe, Alvar Aalto, Frank Lloyd Wright, per non parlare degli italiani Giuseppe Terragni e Pier Luigi Nervi, con i quali amò confrontarsi, convinto assertore della ricerca e del dialogo. Molti lo conosceranno per le sue due principali opere, vere e proprie meraviglie del Novecento, ovvero la Stazione di Santa Maria Novella a Firenze e la Chiesa di San Giovanni Battista (conosciuta per Chiesa dell’Autostrada del Sole) a Campi Bisenzio.
Già famoso a livello nazionale, venne incaricato nel 1936 dall’allora Prefetto di Arezzo, per la realizzazione di un forte simbolo di autorità centrale, rappresentativo e funzionale ma soprattutto ben visibile dalla stazione ferroviaria; ed ecco che la scelta “cadde” su Poggio del Sole, una Poggio del Sole molto diversa da quella odierna, ancora molto rurale e con una bassissima densità edilizia nonostante la sua centralità. I lavori iniziarono a giugno del 1937 e il complesso edilizio venne inaugurato nel 1939; ma, data la vicinanza e l’importanza logistica della stazione ferroviaria, venne bombardato (per fortuna danneggiato solo in parte) ma venne prontamente restaurato nel 1947 seguendo pedissequamente i disegni originali.
Il complesso edilizio è composto da tre elementi distinti, la Prefettura, la Questura e il Salone di rappresentanza, ben riconoscibili a livello planimetrico dove è netta la loro separazione compositiva e funzionale. Ed ecco il talento di Michelucci, il suo sguardo da fine compositore e da pioniere dell’urbanistica, dove la contrapposizione degli elementi, funzionalmente suddivisi, viene magistralmente accorpata in un unico edificio in controtendenza al puro razionalismo imperante dell’epoca. Il corpo preminente è senz’altro la Prefettura, un grande emiciclo su cui si innestano gli altri due; la Prefettura appare subito attrattiva, avvolgente, una grande quinta prospettica che si eleva come punto di riferimento mentre la Questura e il Salone di rappresentanza sono più nascosti, come se messi in secondo piano. Si accede alla Prefettura superando una scalinata, che con la sua asimmetria ricorda il vicino Santuario di Santa Maria delle Grazie realizzato dal Da Maiano, si attraversa un elegante porticato con delle volte a vela, impreziosito da imponenti arcate in mattoni a vista che richiamano fortemente le Logge Vasariane in Piazza Grande. Notevole è la capacità del maestro di realizzare interventi corposi all’interno di realtà storiche, ognuna con le sue proporzioni, relazioni e rapporti e come, al contempo, riusciva ad effettuare degli inserimenti architettonici e urbanistici di successo e di assoluto valore nel profondo rispetto del “genius loci” della realtà su cui doveva intervenire. Varcata la soglia d’ingresso si entra in un grande atrio dove si viene subito accolti da un’imponente scalinata curvilinea, che porta fino al secondo piano, ben illuminata da vetrate laterali studiate appositamente per diffondere la luce in modo pacato ed educato. Sempre al piano rialzato si trovano, oltre all’atrio e alla scalinata, lo sportello per il pubblico e il corpo di guardia, mentre al piano primo sono presenti uffici amministrativi che fanno “da filtro” agli uffici prefettizzi e la foresteria che si trovano al secondo piano, mentre al terzo (e ultimo) piano vi è la residenza privata del Prefetto.
Posizionandosi di fronte alla facciata principale, si percepisce chiaramente la gerarchia funzionale che ha al suo interno ciascun piano. Analizzando la facciata, sopra i maestosi archi in mattoni a vista, si può vedere in corrispondenza del primo piano, un loggiato a ballatoio sottolineato da una serie di pilastri in travertino sormontati da archetti tra uno e l’altro; al secondo piano vi è un balcone con un corrimano metallico dove spiccano evidenti i drappi, quello italiano e quello europeo oltreché la dicitura “PALAZZO DEL GOVERNO” che asseconda e accompagna la curva dell’emiciclo. Al terzo piano invece vi è un leggero arretramento in facciata facendo sì che si venga a formare un terrazzo con il parapetto in mattoni, come naturale prosecuzione della facciata, su cui vengono posizionate le otto statue, di cui due sono state ricostruite del tutto in seguito al bombardamento. Intenzione di Michelucci è stata quella di posizionare al centro della piazza antistante il centro ideale del raggio di curvatura della facciata stessa, cosa che purtroppo è stata in parte vanificata sia dall’inserimento dei cedri (che sono diventati molto grandi) sia dal monumento alla Resistenza che va in conflitto con l’idea originaria che era appunto quella di creare uno “spiazzo” totalmente piatto così che la facciata ad emiciclo potesse elevarsi in tutta la sua interezza. Il tema della facciata curvilinea esalta i diversi punti di vista, alle diverse ore del giorno, le svariate prospettive e i chiaroscuri sempre diversi nell’arco della giornata.
Michelucci scrisse che “Uno spazio è sempre povero, quando è privo di capacità e di relazioni, ed è sempre bello, quando è generativo di incontri, di possibilità sinora inesplorate. È questa forse la felicità”. Il Maestro ci ha consegnato un edificio complesso, elegante e ben riuscito che è riuscito, nonostante i suoi 82 anni, a mantenere le sue peculiarità, le sue funzioni e la sua “eterna bellezza”.
da “L’Alfiere” – n. II – 2021, pagg. 12-13