Posta in termini strettamente geografici, l’esperienza degli sbandieratori in Russia è sorprendente dal momento che – come ho anticipato nel titolo – abbiamo avuto l’occasione di visitare ed esibirci dal nord estremo di Arkhangelsk (antico porto sul Mar Bianco) a Yalta (bagnata dal mar Nero) nella penisola di Crimea. Fra il 2007 e il 2019 siamo stati in Russia cinque volte: due a Mosca, una a San Pietroburgo e nei due estremi della Russia europea, Arkhangelsk e Yalta, appunto. A quest’ultima ho già dedicato un articolo nel quale ricordavo anche la complessità geopolitica attuale, con una città e una regione tornata con la forza alla Russia nonostante la sua collocazione in Ucraina.
Il legame del gruppo sbandieratori con la cultura russa si è di recente arricchito di un elemento eminentemente musicale. Alcuni anni fa infatti il direttore tecnico Stefano Giorgini mi chiese, come responsabile artistico della sezione tamburini del gruppo, di pensare ad un brano nuovo per il saracino successivo. Dovevo proporre una musica marziale e drammatica, cupa nel colore e grevemente ritmata nell’incedere, per accompagnare un saggio dove sarebbe andata in scena allegoricamente una battaglia fra sbandieratori, un fronteggiamento fra due ipotetici eserciti contrapposti. La mia scelta ricadde su La battaglia sul ghiaccio di Prokof’ev. Si tratta di un estratto molto noto dell’opera musicale Aleksandr Nevskij, composta per il film omonimo di Sergej Ėjzenštejn del 1938. In quella scelta c’era la mia consapevolezza della classicità formale ed anche la sensazione di introdurre nel repertorio degli sbandieratori una musica che risentiva del dramma dello scontro fra oriente e occidente. È noto che il principe Nevskij simboleggi il senso della resistenza russa nei confronti dell’invasore tedesco – più in generale del potere occidentale europeo – attraverso il suo ruolo di condottiero vincitore contro i cavalieri teutonici. La sua capacità non fu soltanto militare ma politica, dal momento che era riuscito a far aderire alla spedizione difensiva contro l’attacco degli eserciti dalla Germania e dalla Livonia numerosi principi russi. Lo scontro, siamo nel XIII secolo, rimasto nell’epica della Russia zarista come di quella staliniana fino ad essere diventato un elemento fondativo della stessa identità nazionale – fu quello presso il lago ghiacciato dei Ciudi, ai confini con l’odierna Estonia. Chi conosce il film di Ėjzenštejn ricorderà la perfetta corrispondenza fra il tempo della musica di Prokof’ev e l’avanzata delle schiere di cavalieri al momento di uno scontro che, secondo la leggenda, vide i russi combattere privi di armature mentre i tedeschi sprofondavano in un lago che non reggeva il peso delle loro bardature. L’inserimento recente di questo brano nel nostro repertorio non ci ha consentito ancora di proporlo al pubblico russo ma sarà certamente un punto di impegno vista la rinomanza anche odierna dell’Aleksandr Nevskij in patria.
La prima occasione di recarci in Russia fu dal 10 al 17 settembre 2007 in occasione di un festival internazionale di bande militari organizzato a Mosca. Il cosiddetto Tattoo Kremlin Zoria Festival riproponeva in grande, sulla Piazza Rossa, il tradizionale spettacolo delle bande musicali militari di approccio anglosassone e scozzese (con cornamuse e tamburi) e nella memoria dei nostri sbandieratori è rimasta l’uscita dal Cremlino di circa 350 cornamuse che suonavano all’unisono. Nello scenario della vastissima Piazza Rossa il gruppo si esibì assieme ad una rappresentanza degli sbandieratori di Gubbio e di Sansepolcro. Le diverse formazioni si dovevano esibire in contemporanea dal momento che le dimensioni della piazza sono tali da richiedere la copertura di uno spazio eccezionale. Durante l’esibizione venivano proiettati sul Cremlino gli stemmi cittadini di Arezzo, Gubbio e Sansepolcro e questo, oltre ad inorgoglire, aumentava il senso di responsabilità dato dal trovarci in mezzo a professionisti delle parate provenienti da mezzo mondo. Chi conosce la perfezione del professionismo delle marching bands di tradizione britannica e del Commonwelth (noi le abbiamo incontrate spesso in giro per il globo) può capire l’ansia da prestazione che inevitabilmente coglie un tamburino o un trombettiere degli sbandieratori durante una sfilata o esibizione comune. In occasione del Tattoo moscovita venimmo informati (chissà se corrisponde a verità!) di essere stati i primi italiani a svolgere una performance in quello scenario maestoso dopo Pavarotti. Impegni di questo tipo sono emozionanti, al di là di venire a sapere di essere osservati dallo stesso Putin, e restano più che nella memoria, nell’agire consapevole degli eredi di quella spedizione.
Sono dovuti passare sei anni prima di tornare ancora in Russia, questa volta a San Pietroburgo, dal 23 al 28 maggio 2013 per le celebrazioni del 310° anniversario della fondazione della città, che risale ufficialmente al 27 maggio 1703. Celebrare con enfasi la fondazione di una città tutto sommato recente potrebbe apparire eccessivo se non si considera il valore storico eccezionale di un luogo pensato e voluto dallo zar Pietro il Grande. La fondazione di San Pietroburgo, capitale “premeditata” sulle rive del mar Baltico, è stata variamente interpretata: per gli occidentalisti russi del XIX secolo era una “finestra sull’Europa”, il simbolo dell’europeizzazione della Russia; per gli slavofili, invece, era simbolo dello sradicamento di quella “unità vitale e organica” della nazione russa rappresentata da Mosca; secondo la lettura di Marx, la fondazione della nuova capitale rispondeva ad esigenze geopolitiche, al fine di trasformare la Russia in una potenza marittima. I cambiamenti assunti dal nome della città ne testimoniano i passaggi storici rilevanti: con la prima guerra mondiale si abbandona il troppo “teutonico” Pietroburgo per Pietrogrado, mentre con la morte di Lenin nel 1924 assunse il nome di Leningrado per celebrare il teorico e l’artefice della rivoluzione bolscevica. Fu proprio lo sconvolgimento epocale della rivoluzione e la successiva guerra civile nel 1918 a spingere il governo sovietico a spostare la capitale da Pietrogrado a Mosca per la eccessiva vicinanza della città con le armate “bianche” antibolsceviche. Il trasferimento, che doveva essere temporaneo, venne completato il 5 marzo del 1918 e da allora la capitale è tornata ad essere quella Mosca che Pietro il Grande aveva abbandonato. Difficile immaginare la costruzione in epoca moderna di una città dove prima sorgevano paludi: lo sforzo riguardò l’afflusso dei materiali da costruzione come delle maestranze da coinvolgere. Lo zar a questo proposito vietò la costruzione di edifici in pietra nel resto del paese così da obbligare gli edili a trasferirsi a Pietroburgo. La questione della popolazione fu affrontata anche attraverso trasferimenti forzati e l’abolizione della servitù della gleba con Alessandro II nel 1861 determinò un afflusso consistente di nuovi abitanti e la costruzione di edifici in periferia. Ma la Pietroburgo che si visita oggi, con i suoi musei e i palazzi neoclassici appartiene all’epoca di Caterina II. Purtroppo il gruppo ebbe un solo giorno di libertà che coincise con quello di chiusura del meraviglioso scrigno artistico che è l’Hermitage. Le esibizioni del gruppo furono prevalentemente all’interno di sfilate con bande militari che non hanno lasciato nella nostra memoria la stessa impressione del Tattoo di Mosca. Ci fu comunque modo – ci ricorda Piero Pedone (che ha partecipato a tutte e cinque le “campagne di Russia”!) di visitare la tomba di Dostoevskij a simbolo della città delle arti, del grande romanzo letterario russo, come della musica.
A distanza di un mese circa (dal 26 giugno al 1 luglio 2013) il gruppo venne ingaggiato per partecipare allo Street Festival nella remota città di Arkhangelsk, storico porto sul Mar Bianco. La prossimità al circolo polare la rendono una realtà priva di notte in estate e gli sbandieratori sperimentarono quel sole di mezzanotte che porta nei mesi estivi una popolazione giovane, in gran parte studentesca, a vivere la città con allegria ed entusiasmo. Questo si trasformava nel calore manifesto verso il gruppo che si esibiva all’interno di un festival dedicato al teatro di strada fino al punto di chiedere autografi! La città di Arcangelo oggi non spicca per la bellezza architettonica ma rimane luogo storico e geografico fondamentale per la storia dell’impero russo. Nel Cinquecento Ivan il Terribile cominciò a destinarla a porto commerciale con l’Inghilterra e in seguito l’Olanda ed è da questo luogo che partirono le prime esplorazioni del nord siberiano. Nonostante l’importante cantiere navale, Pietro il Grande capì presto che non poteva basarsi su un porto ghiacciato per cinque mesi l’anno e questo aspetto limitava fortemente un Paese impegnato non soltanto negli scambi commerciali ma in una lunga e complessa guerra con la Svezia. Anche per questi motivi venne creata ex novo Pietroburgo.
A prescindere dalla Crimea nel 2018 alla quale abbiamo dedicato un articolo ad hoc, nel giungo dello scorso anno siamo stati invitati di nuovo a Mosca, questa volta per un festival dedicato alla messa in scena delle epoche storiche: il Times & Epochs, con molti riferimenti all’antichità ma anche all’immancabile medioevo. Ed eccoci quindi ingaggiati a maneggiare l’insegna, fra tornei cavallereschi e la dimensione più immediatamente da parco dei divertimenti che caratterizza questi avvenimenti, a prescindere dalla ricerca del rigore storico.
Indipendentemente dal tipo di impegno e dagli spettacoli realizzati nelle varie trasferte russe, va considerato che il “bisogno di esotico” degli sbandieratori viene abbondantemente soddisfatto attraverso questo tipo di spedizioni vista l’enigmaticità di uno spazio geografico che risulta quasi un non luogo per occidentali ed orientali. La Russia è infatti un terzo spazio: divisa fra Europa ed Asia, la sua cultura non si riconosce pienamente con nessuna delle due ed ha sviluppato un sincretismo culturale che porta slavofili come euroasisti ad interrogarsi sui pesi e le ascendenze di quel bagaglio storico ed antropologico. Certo che le nostre esperienze di gruppo si sono concentrate nello spazio russo europeo, ma anche qui i distinguo sono necessari: se Mosca e Pietroburgo rappresentano l’occidente di Pietro il Grande e della rivoluzione novecentesca, con tutti quei profondi riferimenti al bisogno di occidente legato alle necessità della modernizzazione, il profondo nord e la Crimea hanno davvero sapori diversi, rendendoci testimoni in calzamaglia dell’immensità di una nazione che nel suo massimo sviluppo geografico rappresentava un senso delle terre emerse del globo.
da “L’Alfiere” – n. I – 2020, pagg. 8-11.